venerdì 29 marzo 2013

Donne



La vita va avanti 
Onda su onda 
Sfida su sfida

Cavalchiamo le creste 
Amiamo il calore del sole
Respiriamo aria fresca

Cediamo al ritmo
Assaporiamo ogni gusto
Il tempo senza confini

Amiamo la danza
Sempre a cavallo
Sulle ali del vento ...

Lui



Vede dentro di me 
Ogni brutto pensiero 
Ogni sogno lordo 

Quelli che possiedo
Quelli dimenticati
Quelli mai pensati

Nel buio della memoria
Al di là di ciò che è semplice
Al centro del mio essere

Le perversioni
Le più dolci emozioni
Le mie latenti voglie

La mia libertà
Le mie catene
Il mio orgoglio

Sopra ogni cosa
La mia passione
E il mio animo buio

Sogno


Ti muovi in me
dolcemente alla deriva
in stretto contatto
nel profondo.
La luce soffusa
si riflette
pelle su pelle
anima su anima.
Un destino luminoso
mai cercato
ci ha trovato
salutato
e canta con noi.



Il realista sa di vivere nell'incertezza, il sognatore sa di camminare nella luce.

Buongiorno Maestro

Il letto era grande, Troppo grande solo per me, troppo spesso nessuno al mio fianco, scaldata dalle sole coperte.
Quel mattino qualcosa era cambiato, il risveglio piacevolmente illuminato dalla luce del mattino. Un odore persistente bazzicava nell’aria, aromi da molto tempo dimenticati. Il sesso era lì, confuso con l’odore di lui. La stanza permeata di sesso, mista all’odore di sapone, sembrava stranamente salata. Inspirai l’aria a pieni polmoni, mentre le guance si accesero di rosso. Aprii gli occhi e fissai il soffitto. I ricordi della notte appena passata passarono pigri nella mente, anche se le mie mani iniziarono a tracciare cerchi sulla pelle, lentamente, verso il ventre. Il ghiaccio era stato l’antipasto, gocce scintillanti avevano tracciato un contorno sui capezzoli, per finire giù, all’interno delle cosce. Ricordai le corde, che avevano scavato la pelle dei polsi, mentre mi contorcevo sciogliendo, con il calore del corpo, il gelido abbraccio; i capezzoli indolenziti dai morsi, i palpiti pesanti, la mente piacevolmente riempita, non più il vuoto. Affiorarono immagini: la cintura stretta al mio collo, la fibbia premuta con forza contro la nuca, mentre il suo cazzo affondava da dietro. E ora, con le mani sul mio sesso, tremai ancora, ricordando le sensazioni, la lingua improvvisamente sulle labbra per assaggiare l’aria. Era come stessi assaggiando il suo cazzo, di nuovo. Ma erano sapori fantasma, e tutto questo poggiava sulle mie papille con troppa debolezza. Potevo avvicinarmi a lui, svegliarlo assaporando di nuovo la sua pelle, invece allungai una mano a toccarmi, le labbra ancora gonfie, il clitoride teso e in attesa. Mi trastullai a darmi piacere, piacevolmente egoista. Guardavo lui, profondamente addormentato, e affondavo le mani e le dita dentro di me. Sorrisi. Il suo respiro quiete fu un richiamo, le labbra leggermente socchiuse. Delicatamente mi posizionai sopra il suo viso, senza toccarlo. Continuai a toccarmi e le prime gocce di umori colarono sulle sue labbra. Aprì gli occhi anche lui e solo allora avvicinai il mio sesso alla sua bocca, per farmi lambire, succhiare, leccare, premere, spremere, spingere e… “oh… si!!!!”


Che cosa è il peccato
se non un frutto proibito
da suggere con le labbra
da mordere con i denti
da cui nutrirsi.
Un banchetto prelibato
per una fame insaziabile
che divora la mente
che ruba i pensieri
e riempie l'anima.

Chiuse gli occhi
dipinse arcobaleni
la sua risata
il suo viso
le mani
gli occhi
le labbra
ognuno con un colore
quando li riaprì
tutti i colori
erano in piedi
davanti a lei.

Mi piace farti conoscere la mia follia, renderti partecipe del mio pazzo pensiero, della più folle delle passioni. Il vuoto si colma di suoni, è una musica che riempie gli spazi, sono note che vibrano sotto pelle e affiorano prepotenti, mentre le mani imprimono, scavano, sondano, giocano e mi permettono di “amare” il tuo sentire. Siamo due menti, aggrappate l’una all’altro in un’estasi quasi disperata, completamente persi in una splendida nebbia di eccitazione.

Il mondo impossibile di Ambra


http://alliewalker63.blogspot.it/p/il-mondo-impossibile-di-ambra.html

Ambra non ha una vita normale, costretta in un mondo che non si è scelta, VIVE nei suoi sogni, che ogni notte proseguono come se non si fossero mai fermati. Il resto della sua vita è piatto, come la posizione che occupa nel suo contenitore freddo e sterile.

venerdì 15 marzo 2013

La perversione

La perversione non è un peccato, presa a piccole dosi diviene un'abitudine di cui non puoi fare a meno, ti fa continuare a vivere quando tutto ti rema contro, ti fa rinascere e morire tutte le volte. 
E ogni volta la aspetti, e sei li che brami, e vuoi, e cogli, e afferri, ti colmi, e poi di nuovo il vuoto. 
Un vuoto che ha una ragione di esistere.

mercoledì 13 marzo 2013

Le mucche sono intelligenti e i rospi ancora di più

Ho ripreso ad ascoltare musica sinfonica, mentre lavoro, mentre scrivo, mentre cucino; la mia casa è costantemente satura di note ad ogni ora del giorno, solo che mio figlio non è proprio contento eh, allora si è premunito di cuffie e continua a farsi i cavoletti suoi. A proposito di cavoletti, si dice che le piante, poste non molto vicino alla fonte, amino la musica da camera, che sottoposte costantemente alle vibrazioni sonore, riescono a svilupparsi più velocemente e a distruggere microrganismi e parassiti delle stesse. Si dice pure che le mucche amino ascoltare Mozart, in particolare, con il risultato che la produzione di latte aumenta in maniera prepotente rispetto a mucche allevate normalmente. E, infine, si dice che la musica classica faccia diventare più intelligenti, perché si va a stimolare il cervello in parti molto sensibili, come una specie di massaggio rinvigorente. Ci sono anche quelli che dicono “adesso ascolto musica classica” pensando di passare per persone intelligenti. Io non penso di diventare intelligente in un sol colpo, ehm ehm, sto solo facendo una prova, per capire quanto sono intelligenti le mucche e le piante XD. No, non è vero. Mi piace ascoltare questa musica, mi rilassa, mi rende felice… quindi non ho bisogno di aumentare la mia intelligenza, basta quella che ho, e suppongo che le mucche e le piante siano nella mia stessa condizione. E sto bene come una rospo nel suo stagno. Non ho una gran simpatia verso questi animali: hanno un aspetto viscido e rugoso, quasi avessero verruche (bleah), in realtà nascondono principi pronti a trasformarsi al primo bacio, se mi avvicinassi io son sicura che, con la sfiga che mi ritrovo, si trasformerebbe in topo (ancor più orrendo). E poi lo stagno: umido, mefitico, infestato di zanzare, melmoso… eppure se sei un rospo lo stagno è il posto perfetto in cui stare, per chiunque orrido, ma per lui il suo regno. Se ci pensate, abbiamo tutti il nostro stagno, colmo di sentimenti e sensazioni, e siamo tutti un po’ rospi: ci adeguiamo e ci modifichiamo fino a che non arriviamo a essere perfettamente a nostro agio nella nostra “pozza” e in quella pozza succedono tante cose, è il nostro modo di vivere e sul fondo si accumulano vari strati di detriti e sabbia, che poi non sono altro che esperienze, persone, sentimenti, delusioni, speranze, sogni, lavoro, amore. Scende tutto verso il basso e cova, e passano anni trascorrendo il tempo a cacciar libellule sulla superficie, saltando da una ninfea all’altra. Ma sotto tutto ribolle, fermenta e si mischia, torna tutto a galla assieme ai ricordi, e con i ricordi le emozioni che pensavamo di aver accantonato e sorpassato come un auto in corsa. E quando tutto lo stagno è in subbuglio, ci rendiamo conto che è arrivato il momento di saltar fuori e tornare a confrontarci con il mondo. Arrivati a quel punto possiamo scegliere: la pozza accanto più grande e sontuosa e fare un salto di qualità o crogiolarsi nella melma dello stagno dei ricordi. Voglio la pozza più grande, assieme alle piante, alle mucche, al rospo e la musica che mi rende felice.

domenica 10 marzo 2013

Spazi vuoti


Il desiderio si crea nello spazio vuoto, nel silenzio. In quel momento di pausa, la mente si concentra e anticipa il dolore e il piacere, fa stringere lo stomaco, fa brillare la pelle di gocce scintillanti. Le parole non sempre sono necessarie, l’abilità sta nel creare quegli spazi vuoti in modo che l’altro voglia riempirli con i propri desideri nascosti. Poi è vero, ci sono quei momenti in cui il desiderio fisico supera tutto e si agisce, è facile cedere al bisogno fisico e reagire istantaneamente. Creare e vivere nelle attese richiede uno sforzo di volontà immane, vorresti toccare, ma scegli di non farlo, si aspetta in silenzio e fai attendere, solo gli sguardi comunicano il desiderio interiore. E’ una realtà perversa che lascia un’impronta nella mente dell’altro.

9 Marzo



Era un tempio maledetto, mi addentrai con timore e passai le dita tra i geroglifici; era scolpita la sua saga: “Non è una fine, ma sono solo, accartocciato come carta, consunto e rugoso pronto per essere dato alle fiamme. Non morirai con me, e io vivrò nel tuo olimpo. Non sono piccolo come una lucciola, ma un diamante prezioso, luce in un buco nero, nei tuoi ricordi. Sono il sole selvaggio che brucia nel tuo cielo, una costellazione che solo tu puoi capire.”
Era di una bellezza unica quella scoperta tra le rovine di quel tempio, la vita pulsava sotto i muri rotti e fatiscenti, aleggiava una fiamma eterna di vita… che porta alla vita, come un fiore dopo la semina e poi il frutto.
Lo scritto continuava, consumato dal tempo: “Vivrò in eterno nella tua ombra, una creatura selvaggia che romba nel ventre, che sale alla gola e gioisce nel vento. Non vergognarti di quello che nasce e se il tuo cuore ora sa di dolore, presto la storia sostituirà la mia perdita e sarà così: fottutamente colorata. Una vita nuova può sostituir la morte.”

Oggi nessuno ricorda la Donna, io la voglio ricordare così.

venerdì 8 marzo 2013

Relazioni pericolose - Nessun testimone


Steve attraversò il parcheggio, vicino all’auto lo attendeva un uomo con una busta in mano.
“Meritati. Quella puttana doveva morire.” Poche parole, pesanti come macigni, ma non era lui a doversene preoccupare.
Steve non replicò, afferrò la busta e salì in auto. Rimase a guardare allontanarsi l’uomo che l’aveva pagato. L’auto blu al di la della strada che divideva il parcheggio, l’autista pronto con la portiera aperta. Lo vide scomparire all’interno, l’autista chiuse lo sportello, girò attorno all’auto e salì.
Un leggero formicolio lungo la schiena, un piacere quasi tagliente, quando l’auto esplose sotto i propri occhi con un click.

8 Marzo


Sono una Donna 365 giorni l'anno (ogni 4... 366).
Ok, ce l'ho fatta. Ho scelto. Nove componimenti per salire e sedere accanto agli Dei dell'Olimpo, o scendere e sprofondare nel profondo e infuocato inferno assieme al Diavolo e aiutarlo... a fare i coperchi!
Ah ah ah

Orgiastici inviti



Ne è valsa la pena, posso urlarlo al vento. Ore scarse di sonno, il lungo viaggio per rientrare, il ronzio del motore ancora nelle orecchie. Gli occhi ora sono appiccicosi, stanchi, non stanno aperti, un po’ confusa. Le cose che ho visto, quelle che ho pensato di aver visto, le cose che sono successe, sono fotogrammi impressi nella pellicola della mia Kodak d’altri tempi che tengo sempre nella borsa. Un mare ondeggiante di corpi, un serraglio di corsetti, pelle, glitter, vernice, calze a rete. Colpa , o merito, di Giovanni, chimico estroso e folle, entrato in biblioteca e aperto una boccetta con un liquido fumante. Mi aveva avvertito con una mail: “Entra in biblioteca “D’Annunzio” alle 19,30 scoprirai vizi privati e pubbliche virtù” Non so quello che si rivelerà nella camera oscura, ma l’orgia, di sicuro, è impressa nelle mie mutandine.

Relazioni pericolose




“Vieni, fottimi.”
Steve non si mosse, sorrise a malapena. Poi si girò su un fianco e la fissò, un broncio morbido, lievemente triste. Lei allungò una mano a toccarlo. Il campanello suonò.
“Aspetti qualcuno?”
Lui non rispose, si alzò, infilò maglietta e pantalone, andò alla porta. Rientrò con un pacco in mano.
Lei tentò di nuovo: “Vieni, fottimi”. Dischiuse le gambe, un invito. Steve, immobile sullo stipite della porta,  espressione indecifrabile. Sembrava fatto.
Un allarme suonò nel parcheggio, lui andò alla finestra. “La mia auto…”
Prese le chiavi sul mobile ed uscì. Il boato alle sue spalle non lo sorprese.

giovedì 7 marzo 2013

Dedicato




Dedicato
Che cosa cerchiamo, perché voliamo verso tutto ciò che è facile e comodo? Ci insegnano le favole da bambini, sono morbide storie, donano sicurezza in una mente ancora senza malizia, dove le donne non hanno nulla di carnale e gli uomini sono senza paura e puri di cuore.
I bambini imparano presto, ma è duro scoprire che le fiabe non esistono nella realtà e per quanto amino scoprire verità, per quanto siano puri e semplici e per quanto corrano verso abbracci primordiali, sbatteranno anche contro la paura primordiale; in un mondo dove non esistono fate, maghi, principi e regine e le uniche magie a cui possono assistere sono le luci del giorno che cambiano.
Poi si cresce. In un attimo. Ci gettiamo verso l’ignoto, terrificanti verità, quasi assente la dolcezza, la protezione è pari allo zero e i mostri sono li che ci aspettano dietro la porta e a ogni svolta.
E nonostante tutto arriva l’amore: ci protegge, ci illumina, ci governa, ci massacra, ci fa soffrire, ci fa gioire, ci fa fremere e godere, ci fa vibrare, ci fa bagnare, ci fa lottare e ci fa vincere… e poi?
Poi niente. Hai vissuto!

La luna


La luna sperimenta i suoi tocchi, traccia il buio di un bordo senza fine, sfiora le acque, testa la profondità e sprofonda nel pericolo sconosciuto, è impavida. Cavalca il buio dei mari cupi, in un connubio di luce e di follia, trova la sua ragione di esistere, si flette e riflette. Tocca rami che sembrano chiamarla, circonda la chioma degli alberi, si infiltra, avvolge radici che sembrano morte, rischia il suo abbraccio e li inganna. Noi siamo il resto che tocca con grazia innata ci sfiora una guancia, brilla tra i capelli, trova calore di vita, ama la nostra pelle e ad ogni alba manovra la morte.


Un angelo oscuro



Un angelo oscuro mi chiama
sconosciuto il viaggio
tende la mano
le ginocchia tremano
il cuore sbatte

Un angelo oscuro mi guida
il viaggio inizia
il respiro è breve
il terreno lieve
i passi incerti

Un angelo oscuro mi tiene
creatura della notte
profondo e maestoso
prezioso custode
della mia mente che vola.

Dicotomia (Parte terza)



Li ai suoi piedi, in attesa, non poteva far altro che guardarla. In attesa di un suo ordine, di un suo cenno, adorante e consumato dalla lussuria. Il frustino in mano era pericolosamente vicino al suo membro eccitato, si aspettava una punizione invece Margot si alzò dal letto, sbattendole davanti al viso il  ventre.  Il profumo del sesso di lei lo fece fremere,  inalò a pieni polmoni e allungò la lingua a lambire la fessura che si intravedeva dall’apertura dei pantaloni.
Margot lo prese per i capelli obbligandola a guardarla e: “Ti ho detto di leccarmi? Non mi sembra. Non te lo sei ancora meritato. Alzati e accendi le candele.”
Riccardo se ne era dimenticato. Primo errore della serata, ne faceva a bizzeffe e si rammaricava di non servirla a dovere, eppure gestiva con attenzione l’altra sua personalità. Scivolava oltre i confini, fondendosi completamente con le idee e i pensieri della sua Dea, finchè non era completamente immerso nella sua rete, intrappolato in una sorta di nodo gordiano che solo lei poteva tagliare. Era stata una scelta facile lasciarsi coinvolgere, ma allo stesso tempo selettiva. Aveva scelto lui di presentarsi a quella maniera, sottomesso; lui aveva compreso  che sotto il velo di presunzione di Margot, sotto gli abiti lussuriosi e pretenziosi, si celava una donna dai sentimenti profondi. Lo amava, a modo suo. E lui ricambiava il suo amore prostrandosi ai suoi piedi; non era uno zerbino qualsiasi, diveniva un amante focoso quando lei lo richiedeva e le attenzioni che Margot gli dedicava erano nutrimento per l’anima, perle che avrebbe portato con sé durante i giorni di noioso lavoro. Non era una semplice soddisfazione fisica, ma uno scambio di sensazioni ed emozioni degne di essere vissute.
Quando tutte le candele furono accese, Margot era pronta con la gabbietta per il pene.
“Stenditi sul letto, dobbiamo ingabbiare le tue voglie, non è ancora giunto il momento del piacere.”
Riccardo obbedì riluttante, non gli piaceva quell’infernale macchinetta. Margot lo sfiorò in tutta la sua lunghezza, accarezzò il glande lievemente umido e non fu facile intrappolarlo. Il dolore che seguì lo si poteva vedere dalle smorfie che si disegnarono sul viso di Riccardo, lentamente si abituò a quella costrizione obbligata, seppellendo le fitte in un angolo della mente. Aveva imparato a controllare il dolore trasformandolo: appena appartato il dolore il piacere che sopraggiungeva lo colmava e addomesticava le sue voglie.
Finita l’opera, Margot prese il collare che teneva su uno dei comodini accanto al letto e rivestì il collo di Riccardo, completò l’opera agganciando un guinzaglio di pelle e catene. Lo tirò per la catena costringendolo ad alzarsi e lui docile la seguì in cucina, camminando al suo fianco e non carponi come avrebbe voluto una semplice mistress, leggermente arretrato rispetto a lei. Sul tavolo della cucina erano pronti una serie di ingredienti per la cena.
“Cucina per me come sai fare, cucciolo.” Gli ordinò Margot, sganciando il guinzaglio.
Lui si mise ai fornelli, lei lo osservava. Ogni tanto si alzava dalla sedia e gli andava vicino. Lo sfiorava leggermente, oppure usava il frustino per alzargli il capo e scambiarsi sguardi, altre volte lo prendeva per i capelli e si lasciava baciare. Riccardo era eccitato, il pene lanciava fitte di dolore, ma sapeva che prima o poi sarebbe finita. Quando fu pronto portò a tavola il cibo e la servì, attese in piedi accanto a lei un qualsiasi ordine.
“Ho bisogno di te qui sotto.” Margot gli fece cenno di andare sotto il tavolo e schiuse le gambe per farsi ammirare.
“Adesso puoi leccare, cucciolo.” 


Praticare rende perfetti


Provate a infilare il dito in bocca,
con gli occhi chiusi tiratelo dentro,
lavatelo con la lingua, 
girando attorno alla punta,
leccate e succhiate in tutta la sua lunghezza,
assaporate il suono,
ed immaginate tutto cio' che un uomo puo' sentire..

A mia figlia



Ti amo.
Amo l’innocenza del tuo amorevole cuore.
Amo il profumo della tua anima.
La tua calma anche quando urlo,
la tua tranquillità anche quando non ci parliamo.
Amo i tuoi capricci, i tuoi musi, le tue pretese.
Amo il tuo dolce far niente.
Non permettere a nessuno di oscurare la tua luminosità,
i tuoi colori, la tua innocente bellezza.
Non lasciar svanire il tuo dolce profumo.
Non voglio vederti precipitare nelle ombre,
non voglio che tu sia toccata da serpi velenose.
Ti guardo da lontano, irraggiungibile,
persa nei tuoi sogni di ragazza.
Voglio vedere il tuo sorriso, non lasciarlo mai
...vivo per un tuo sorriso, perché anche cosi distanti…
Ti amo per come sei e per quello che sei.

Dicotomia (seconda parte)


Margot si stava cambiando e Riccardo rimase a guardarla affascinato dallo spiraglio della porta che aveva lasciato semi-aperta. Seduto in poltrona faceva roteare fra le mani il bicchiere con il drink che si era preparato, fingendo di interessarsi al programma che davano in tv. Margot non era mai banale, ma quando erano insieme lei amava costruire il suo personaggio. Esasperava il trucco e gli indumenti che amava indossare erano quasi sempre neri, di pelle e molto aderenti. Spesso Riccardo aveva pensato che tutto quel costruire oscurava le grazie di Margot anziché aumentarle, ma nei loro giochi perversi lei si sentiva a posto abbigliata alla sua maniera, la capiva e non lui disdegnava. In fondo non era lui al comando.
Quel venerdì non erano questi i pensieri che correvano nella testa di Riccardo. A metà strada della trasformazione, Margot si specchiò, ammirandosi. Lui non poté fare altro che far finta di non guardarla, questo le aveva promesso e il desiderio di assaporare la sua pelle cresceva di pari passo con il corpo di lei che veniva coperto dal lattice nero lucido. Margot afferrò la lampo e la tirò verso l’alto umettandosi le labbra dipinte. Riccardo, nudo in poltrona nel corridoio che portava alle camere della grande casa di lei, era eccitato e vibrante. Un’attesa che lo stava facendo impazzire. Il membro pulsava e cresceva e quasi sicuramente lei lo avrebbe punito. Non poteva far a meno di guardarla, una grazia felina anche nelle mani con le unghie laccate e curatissime, artigli che artigli non erano.
Appariva tutta lattice e rossetto, brillante in ogni dove, lo specchio alle sue spalle la rifletteva, così da poterla guardare da ogni angolatura. Era tutto in mostra, spremuto nei modi giusti, i seni appena contenuti dalle coppe del lucido corsetto e dalla lampo che non era chiusa del tutto, pericolosamente strabordanti. Adorava quei seni, leccarli e donarle piacere, sensibili al tocco della lingua si gonfiavano sotto i suoi tocchi, sotto i suoi esperti movimenti della bocca. Il ventre piatto coperto dal pantalone aderiva perfettamente al suo corpo, i glutei sodi e pieni contenuti e alti, intravedeva la fessura aperta sulla vagina, dove spiccava il roseo della pelle glabra.
Tuttavia la luce della camera era scortese, troppo sterile e senza calore, appena le avrebbe permesso di entrare si era promesso di accendere delle candele. La fiamma tremula delle candele donava alla stanza un tocco diverso, caldo e accogliente. Riccardo sorrise scaricando in gola l’ultimo sorso del suo bicchiere. Si alzò disobbedendo agli ordini di Margot ed entrò in camera.
“Margot… Padrona, siete la mia divina creatura.” Fu una ulteriore dichiarazione di resa. “Non ho potuto fare a meno di ammirarla e ho bisogno delle sue attenzioni. La prego…” Si inginocchiò ai piedi di lei, calzati in una decoltè nera dal tacco altissimo, ne inalò il profumo e rimase in attesa guardandola supplicante.
Margot gli sorrise, lo guardò a sua folta, scandagliando il corpo nudo del suo schiavo e si soffermò per qualche istante sul membro eccitato e pulsante. “Sei un monello perverso. Non sai attendere.” Lo lasciò in ginocchio, prese il frustino in mano e si sedette sul bordo del letto con le gambe semi-aperte, in una posa elegante e al tempo stesso invitante.

domenica 3 marzo 2013

Aria rossa...


Il mattino era arrivato prima di quanto pensasse, i suoi occhi si aprirono a fatica e si persero nella luce della camera, toni caldi, tanto da smarrirsi, gettavano sangue sul pavimento e alle pareti in turbini ammalianti fino a riempire la stanza di un velo porpora. La notte era stata frenetica e gli eventi avevano preso una piega che non si aspettava ma, per quanto inaspettati, degni di attenzione. La sera prima ebbe appena il tempo di gettare i vestiti, prima di affondare in quel letto in compagnia di una donna appena conosciuta, senza la possibilità di chiudere le tende. Lei dormiva ancora, accanto a lui, il ritmo costante del suo respiro indicava che era ancora impantanata nel sonno e ne avrebbe avuto per un bel po’. Non ebbe il coraggio di svegliarla, ne aveva appena per continuare la sua strada arrancando verso la coscienza e il calore del giorno. Fece scivolare il piumino dal corpo con riluttanza e si alzò. La camera era fredda, alcuni brividi scivolarono sulla pelle, fino al membro che, come al solito, si presentava nella sua fierezza, turgido ed eretto. Rinunciò a prestargli attenzione incuriosito dalla luce che entrava dalla finestra e ovviamente, per lui, la curiosità correva sempre davanti alle sue strette necessità. Forse perché non era nel suo solito ambiente, non era la sua camera e il suo letto, o forse perché quella donna era al posto di qualcuna che poneva il suo primario interesse verso i bambini piuttosto che al sesso, riuscì a fatica a mettere un passo dietro l’altro, ma si piazzò con le mani appoggiato al davanzale e guardò oltre il vetro.
Rimase alla finestra per un tempo indefinito, e nonostante l’ocra dell’alba si stesse affacciando in un nuovo scenario, una figura pallida comparve contro lo scarlatto dell’aria. Fuori da quella stanza le colline toscane erano un bagno di sangue, il casolare e le costruzioni adiacenti dipinti sanguigni, marroni e verdi sporcavano il rosso, il cielo era devastante e lei… la sua figura in un manto magnifico.
Nonostante il volto nascosto e quel poco di chiarezza mentale dopo una serata di bagordi tra alcool e marijuana, la riconobbe. Pensò di sentire anche la sua voce, un suono ammaliante e una melodia conosciuta, un canto che spesso aleggiava nell’aria quando era nella sua casa, una nenia al pari di una ninna nanna. Si guardò alle spalle, guardò il modo in cui la luce si fondeva con l’oro dei capelli della donna nel letto, rendendoli più caldi. Sembrava innaturale, tutto era innaturale, anche la sua presenza in quel posto. Tornò a guardare fuori e, mentre la figura della donna si dissolveva contro il cielo di sangue, il sole si scrollò ed entrò a comandare e tutta la tavolozza dei colori tornò alla normalità, il rosso drenato completamente dal cielo.
Aveva passato gran parte della sua vita a rafforzare le sue convinzioni, esaminando le strutture e il contesto in cui si trovava, ogni volta, e faceva in modo di trovarsi sempre su una base solida e consona alla sua vita sociale, padre amorevole e marito adorabile. Stavolta, nonostante sotto i suoi piedi avesse solidi mattoni, si sentì scivolare nella sabbia erosa dal mare.

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Nei proverbi: Aria rossa o piove o soffia... un avvertimento?

Ci sono modi peggiori per trascorrere una serata



Si dice che il silenzio è d'oro, ma io ho sempre pensato che fosse più vicino alla tonalità dell’argento. L'oro è troppo morbido e saturo, sempre espressione ostentata di quel qualcosa che simboleggia, per sua natura mai sommesso. L’argento ha la stessa natura del silenzio, sempre gravido in un modo o nell'altro, ricolmo di pensieri e voci inespresse, tenue e freddo il colore, un composto di scale di grigi infinito.
Provo a mettermi un bavaglio, una spilla d’argento che chiuda la mia bocca, come una misura preventiva per evitare un discorso che posso sentire ma non ascoltare, per attutire i suoni e privare l’orecchio di parole che non arriverebbero dove dovrebbero essere: nella testa; come se i pensieri che esprimo a voce alta non siano degni dell’aria che occupano e l’inquinamento acustico inutile; mi specchio con il bavaglio. Senza una voce per dare aria ai miei pensieri, mi riempio di loro, anche i pori ne sono pieni, fino a che non fermentano e fomentano e diventano ampi e intimi. Fino a quando divengo il pensiero stesso e circondata da un silenzio d’argento, con niente altro che il sussurro bianco delle mie parole, il chiarore di una fantasia si sviluppa. È morbida e soave. Sono pronta, la penna scivola veloce sulla carta, ho trovato il modo di esprimere il mio silenzio e i miei pensieri.

Guarda dove metti i piedi (Biianca Neve)



Dovevo andare a far la spesa e son finita in biblioteca. Estasiata dal profumo della carta, inebriata dall’odore delle parole, passai oltre lo scaffale delle fiabe e cozzai su un gradino stramazzando al suolo. Alzai gli occhi e vidi Cenerentola che senza una scarpina si stava facendo ciucciare il piede da un nano, mentre un altro le stava sotto la gonna e dal rumore che faceva, la stava sicuramente lappando. Cappuccetto rosso a culo nudo si faceva frustare dalla nonna, mentre il cacciatore la prendeva da dietro. Peter pan e Wendy erano impegnati in un sessantanove. Cenerentola in un atto di ingordigia, chiamò il principe azzurro che si stava deliziando in autoerotismo e gli chiese di renderla partecipe. “Eh no, mia cara. Te sei fregata due dei miei nani, Il principe me lo faccio io!”
“Signora… sta bene? Non sono un principe, ma se serve una mano…”

sabato 2 marzo 2013

Dicotomia




Venerdì. Finalmente un’altra settimana si era conclusa. Appena fu fuori dall’ufficio, allentò il nodo della cravatta e se ne liberò. Il portiere gli aveva già parcheggiato l’auto sul vialetto dell’azienda che dirigeva e lo attendeva con le chiavi in mano.
“Buona serata, Presidente. Ho fatto pulire l’auto come mi ha ordinato.” Parole coronate da un inchino dell’uomo, sempre molto educato e al suo posto. Riccardo scambiò le chiavi con una lauta mancia e saltò sull’auto.
A casa, la prima cosa del venerdì era una doccia, ed era come un rito. Entrava nel box e apriva l’acqua, senza prima farla scaldare. La prima esplosione faceva sempre un po’ male, il contrasto era violento: acqua gelida e piatto freddo sotto i piedi, poi il tepore fino ad arrivare a temperature bollenti. Faceva parte del rituale, il sibilo dell’acqua e il rantolo basso che eruttava dalla sua bocca, quando il calore diventava insopportabile e spingeva contro la pelle come una miriade di aghi. Una sensazione familiare per un processo familiare, ed era in momenti come questi che si sentiva folle, quasi rasentare la schizofrenia, ma le sensazioni che provava erano di pulizia assoluta. Forse pulizia da quella vita che non si era scelto,  obbligato a mettersi alla guida dell’azienda di famiglia quando suo padre venne a mancare. Poteva sentire letteralmente spostarsi la propria personalità, abbandonare comportamenti che non sentiva suoi, quelli di tutti i giorni, e si trasformava. Due personalità completamente opposte. Il Presidente dedito al comando, sempre in posizione dominante e dal venerdì alla domenica sera…
L’acqua sul viso, sul petto e sulle gambe, sempre bollente. Poi sul capo, in rivoli quasi purificatori. Sapeva che da li a un’ora sarebbe stato perfetto, essendo esattamente chi voleva essere. Ancora un urlo liberatorio e l’ufficio  fu in un angolo della mente, voleva sfuggire alla monotonia del lavoro, l’acqua ancora bollente, ma ora si sentiva pulito, giusto. Il calore eliminava via l’ultima essenza dell’altro e si fondeva per essere nuovamente ricostruito. Una mano in su, contro il muro, inclinato, con la testa in avanti e il flusso deviato sulla schiena.  Lottò ancora qualche istante contro l’uomo dominante e potente, poi chiuse il getto della doccia. Rimase qualche secondo eretto e fiero, godendosi i caldi vapori del bagno prima di affrontare il freddo del corridoio che lo portava alla sua camera. La testa e i pensieri rivolti verso quella donna che lo attendeva. Due giorni di assoluta dominazione e obbedienza, ma non sarebbe stato lui a comandare. Non sentiva venir meno il rispetto verso la sua persona. Godeva nel sentirsi amato da quella donna e ricambiava il suo amore piegandosi, inchinandosi alle sue voglie e capricci, adorandola come lei chiedeva e ordinava.
Era una fuga, piuttosto che una routine. Una fuga da tutte quelle persone che lo rispettavano per i suoi modi e per il suo potere.  Riccardo aveva trovato il suo personale equilibrio sdoppiandosi. Il venerdì attuava la separazione e mentre uno esauriva il suo potere, l’altro si ricaricava e guadagnava forza. Un compromesso con se stesso per nascondere la sua vera natura che nel mondo “normale” nessuno avrebbe approvato, come se una posizione professionale dominante doveva essere la stessa anche sessualmente.