Li ai suoi piedi, in attesa, non poteva far altro che
guardarla. In attesa di un suo ordine, di un suo cenno, adorante e consumato
dalla lussuria. Il frustino in mano era pericolosamente vicino al suo membro
eccitato, si aspettava una punizione invece Margot si alzò dal letto,
sbattendole davanti al viso il ventre.
Il profumo del sesso di lei lo fece fremere, inalò a pieni polmoni e allungò la lingua a
lambire la fessura che si intravedeva dall’apertura dei pantaloni.
Margot lo prese per i capelli obbligandola a guardarla e: “Ti
ho detto di leccarmi? Non mi sembra. Non te lo sei ancora meritato. Alzati e
accendi le candele.”
Riccardo se ne era dimenticato. Primo errore della serata,
ne faceva a bizzeffe e si rammaricava di non servirla a dovere, eppure gestiva
con attenzione l’altra sua personalità. Scivolava oltre i confini, fondendosi
completamente con le idee e i pensieri della sua Dea, finchè non era
completamente immerso nella sua rete, intrappolato in una sorta di nodo
gordiano che solo lei poteva tagliare. Era stata una scelta facile lasciarsi
coinvolgere, ma allo stesso tempo selettiva. Aveva scelto lui di presentarsi a
quella maniera, sottomesso; lui aveva compreso
che sotto il velo di presunzione di Margot, sotto gli abiti lussuriosi e
pretenziosi, si celava una donna dai sentimenti profondi. Lo amava, a modo suo.
E lui ricambiava il suo amore prostrandosi ai suoi piedi; non era uno zerbino
qualsiasi, diveniva un amante focoso quando lei lo richiedeva e le attenzioni
che Margot gli dedicava erano nutrimento per l’anima, perle che avrebbe portato
con sé durante i giorni di noioso lavoro. Non era una semplice soddisfazione
fisica, ma uno scambio di sensazioni ed emozioni degne di essere vissute.
Quando tutte le candele furono accese, Margot era pronta con
la gabbietta per il pene.
“Stenditi sul letto, dobbiamo ingabbiare le tue voglie, non
è ancora giunto il momento del piacere.”
Riccardo obbedì riluttante, non gli piaceva quell’infernale
macchinetta. Margot lo sfiorò in tutta la sua lunghezza, accarezzò il glande
lievemente umido e non fu facile intrappolarlo. Il dolore che seguì lo si poteva
vedere dalle smorfie che si disegnarono sul viso di Riccardo, lentamente si
abituò a quella costrizione obbligata, seppellendo le fitte in un angolo della
mente. Aveva imparato a controllare il dolore trasformandolo: appena appartato
il dolore il piacere che sopraggiungeva lo colmava e addomesticava le sue
voglie.
Finita l’opera, Margot prese il collare che teneva su uno
dei comodini accanto al letto e rivestì il collo di Riccardo, completò l’opera
agganciando un guinzaglio di pelle e catene. Lo tirò per la catena
costringendolo ad alzarsi e lui docile la seguì in cucina, camminando al suo
fianco e non carponi come avrebbe voluto una semplice mistress, leggermente
arretrato rispetto a lei. Sul tavolo della cucina erano pronti una serie di
ingredienti per la cena.
“Cucina per me come sai fare, cucciolo.” Gli ordinò Margot,
sganciando il guinzaglio.
Lui si mise ai fornelli, lei lo osservava. Ogni tanto si
alzava dalla sedia e gli andava vicino. Lo sfiorava leggermente, oppure usava
il frustino per alzargli il capo e scambiarsi sguardi, altre volte lo prendeva
per i capelli e si lasciava baciare. Riccardo era eccitato, il pene lanciava
fitte di dolore, ma sapeva che prima o poi sarebbe finita. Quando fu pronto
portò a tavola il cibo e la servì, attese in piedi accanto a lei un qualsiasi
ordine.
“Ho bisogno di te qui sotto.” Margot gli fece cenno di
andare sotto il tavolo e schiuse le gambe per farsi ammirare.
“Adesso puoi leccare, cucciolo.”