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sabato 10 agosto 2013

Vapori



Lascio correre i miei pensieri, la mia immaginazione e ci sei tu.
Tu e un bagno.
Una grande vecchia vasca da bagno con i piedi da leone, enormi artigli che la sostengono; piena fino all’orlo con acqua calda.
Il vapore sale in vortici seducenti, così fitti da confondere tutto il resto, le pareti e il soffitto scompaiono e c’è tutto un mondo in quella nebbia.
Ci sei tu. Ti sento, sei parte dell’acqua, sei nel vapore e la tua presenza mi avvolge come le braccia non hanno mai fatto.
So quello che vuoi, quello che sei e sei qui per un solo motivo. Non mi lascerai andare fino a che non ti darò ciò che è tuo.
Mi arrendo.
Mi immergo nell’acqua e sento scivolare via ogni preoccupazione, la mia solitudine, l’ordinarietà della mia vita. L’acqua si chiude sopra la mia testa e mi rilasso, il nostro momento durerà in eterno, rimarrai con me.
Non ce la faccio ancora, è troppo presto, devo risalire, devo respirare e prendere ancora un altro respiro, e un altro ancora e andare avanti.
Con la testa fuori dall’acqua, il vapore si dirada e sei lì, mi stai guardando.
I tuoi occhi grigi offuscati, il viso sembra essere di marmo, inflessibile e freddo, i capelli bagnati. Chiudo gli occhi e appoggio la schiena contro la vasca, il vapore solletica le narici, il mio volto è umido. E’ difficile respirare.
Ti sento sussurrare il mio nome, sembra rassicurante la tua voce, come se stessi calmando la tua bambina.
I seni galleggiano sulla superficie dell’acqua, senza peso, i capezzoli turgidi bramano un tocco. Ti attendo.
E finalmente ti avvicini, posi i tuoi baci sui miei occhi, la lingua lecca le gocce di vapore che ricoprono il viso, sei delicato.
Lento e delicato.
Le labbra sfiorano le mie, i denti affondano sulle labbra.
Le mani impastano i seni, tirano, provo dolore, ma ho bisogno di sentirti, ho bisogno di ricordarti.
Nel momento in cui affondi la lingua nella bocca, aggroviglio le mani ai tuoi capelli, per tirarti vicino, non posso lasciarti andare questa volta.
Allargo le cosce contro i bordi della vasca, offrendomi, in attesa che le tue dita trovino la loro strada dentro di me.
Mi trovi, gemo, sollevo i fianchi, l’acqua trabocca, ma ho bisogno di avere di più.
Mentre mi contorco e inarco il ventre, chiudi la bocca su un capezzolo, lo succhi, lo mordi. Sento dolore, piacere.
Mi tieni in bilico fra il piacere e il dolore.
Si accende il corpo, mi lasci un istante e mi metto in ginocchio, le braccia appoggiate sul bordo della vasca.
Sei dietro di me, fulmineo, il tuo corpo si sta fondendo al mio, le mani si allacciano ai seni.
E’ tutto quello che ho sempre voluto, sentirti così vicino, petto contro schiena, le labbra che mi baciano il collo e le dita che tirano i capezzoli.
Eppure non è sufficiente, il mio bisogno è infinito.
Mi strofino conto di te, so che mi darai sollievo, so che puoi farlo. Il cazzo contro la figa, lentamente scivoli dentro di me a completarmi.
Poi, senza preavviso, spingi duro, martellante.
Il mio nucleo è rovente, ti voglio, godimi!
Stringo il bordo della vasca, mentre gli schizzi vanno ovunque, seguono implacabili i nostri movimenti.
Grido.
Ondate di piacere mi trapassano, fremo, tremo, godo, mentre tu ti dissolvi con gli ultimi resti di vapore.
E’ troppo presto.
Piango con gli occhi chiusi.
Mi immergo.
Tutta.
Ho freddo, ma lì rimango, mentre il sangue si confonde con l'acqua e brividi trapassano il corpo, un'ultima immagine: ancora tu e perdo anche il mio ultimo respiro.

Demoni, oltre la notte



"Sei stata creata per essere la donna perfetta per un uomo. Non puoi essere lo spreco dei capricci di ogni uomo, molti sono solo impostori. Alla fine sarai solo una dolce e docile preda per loro.”

Le sue parole riecheggiavano nei sogni della donna, come sempre. E ogni volta aveva avuto ragione. Come faceva a sapere?

Lui non era reale. Era solo uno spirito, un demone che le appariva nei sogni, nel sonno. Guardava profondamente in lei, succhiava dalla sua anima la vita, solo per scomparire dolcemente nelle ore di veglia. Non scomparivano, assieme a lui, le sue parole. Erano sempre con lei, le martellavano le tempie.


Una notte, le parlò del suo cuore. Le disse che amava troppo, profondamente, troppo spesso e troppo per quel mondo terreno. Lui la tormentava… poteva vestirsi come le piaceva, mettersi ogni volta una maschera: sottomessa, frivola, un’amante perversa, una femmina affascinante; non sarebbe cambiato il motivo per cui lo faceva. Erano tutti meccanismi per raccogliere l’amore che desiderava, come fosse stato ossigeno che la teneva in vita.
"La ragione per cui desideri così tanto amore da tutti quelli che incontri, è perché nessun amore ti è mai stato vicino a sufficienza. Non disperare. Quello che ti serve è solo attendere. Devi superare la superficialità per trovare l’Amore.”

Si svegliò e cercò di sollevare le braccia, le sembrava fosse lì, con tutto il suo peso, ma non trovò nulla di aggrapparsi.

Si sentiva cruda e fragile al mattino mentre si vestiva, rendendosi conto che quel demonio aveva riconosciuto la paura che indossava come una seconda pelle. Aveva cercato di mascherarlo in sorrisi e baci, di giorno. Cercò di scacciarlo con la luce. Eppure, al buio, tornò sempre.

E lui lo sapeva. Sapeva che di notte, lo avrebbe chiamato, desiderava averlo vicino. Il demone vedeva le lacrime silenziose che liberava quando era al buio e il cuscino che afferrava tra le braccia ogni notte prima di addormentarsi in quella solitudine terribile che lei proteggeva così ferocemente. Lei ascoltava il ritmo del proprio respiro, del cuore ed era la sola melodia che le teneva compagnia, ma era così assordante. Nel sonno si lasciava avvolgere da quelle braccia e ascoltava il sussurro di quelle risposte che di giorno non riusciva a comprendere. E continuava ad amare persone sbagliate.


Schiava di chi? Di cosa?



Un ringhio e le sue dita abili. La corda arrotolata attorno alle caviglie, abbrancata al tavolo. Il suo odore sempre più intenso. Ogni nodo sempre più stretto. Attendevo, piegata, le mani intrecciate dietro la schiena e fra le cosce un diffuso e prepotente calore. Speravo fosse tenero, ma forse no, non ci credevo nemmeno io. Mi sfiorò il pensiero che la tenerezza potesse colmarmi, completarmi. E invece no!

La carne calda tra le cosce tradiva prepotente e sfacciata i miei pensieri. Ultimamente non erano molto in sintonia. La mente voleva tenerezza, carezze, scopate morbide, mentre la fica pretendeva durezza, dolore, affondi voraci. Un brivido percorse il mio corpo, anticipando ancora la mente. Sentivo di non poter resistere ancora, quando le sue mani accarezzarono le labbra bagnate. Lo sentii appoggiarsi contro di me, la sua durezza inconfondibile.

“Mi vuoi? Parla.”

Ogni parola scandita senza dolcezza. Si allontanò da me. Un brivido e il suono della cinghia che fendeva l’aria prima di colpire. Un gemito mi sfuggì dalle labbra appena il cuoio colpì la pelle, facendo vacillare quel poco di compostezza che ancora mi era rimasta. Ero sul punto di godere, il dolore mi provocava sempre un grande piacere e portava a galla i miei istinti. E lui? Lui vedeva sicuramente le mie cosce brillare, il flusso di depravazione che scorreva fiero, il peccato che lambiva la mia anima, la lussuria che pasteggiava con la mia carne.

Quello che non sapeva era che mi stavo solo scaldando. Dopo una decina di colpi si assentò e tornò con una canna. Sul mio viso sentii strisciare la smorfia di un sorriso, non era nuova per me, adoravo il sibilo e la carne che si gonfiava sotto i colpi. Le grida che seguirono erano solo incitamento per lui e io lo sapevo. Graffiavo il suo sadismo. Mi agitavo, facendogli credere che il dolore fosse troppo per me.
“Ne vuoi ancora? Sei la mia Puttana?”

Girai il capo a guardarlo, annuendo. Chiedeva conferme, forse era un altro insicuro? Dai modi non sembrava, dalla voce nemmeno, ma c’era ancora qualcosa che non afferravo del tutto.

Mi sculacciò, gridai ancora riempiendo l’aria della stanza e la mia mente. Mi accarezzò, lieve. Lasciò correre le mani lungo la schiena, fino ai capelli. Aggrovigliò le dita attorno a essi, tirandomi con forza verso di lui e l’altra mano si strinse, come tentacoli di una piovra, attorno al collo. Mi mancò il respiro, sentii il volto avvampare, boccheggiai contro le sue labbra che schiudevano le mie.
Il sangue pompava veloce nelle vene, fremiti percorrevano la pelle, il pulsare della fica si faceva sempre più veloce e pretenzioso.

Allentò la stretta attorno al collo. Appoggiò lievi carezze, sostituì la bocca con un paio di dita, scopandomi la gola. Lo succhiai, avidamente, mettendo ancora più enfasi del dovuto, con gli occhi incollati ai suoi, una richiesta tacita a farmi godere.
La carne cedeva al desiderio, la cavità pulsante chiedeva di essere riempita, mi agitai sul tavolo e vomitai fuori la mia voglia: “Per favore, scopami.” E poi un torrente di parole incomprensibili, suppliche, lamenti caricati di istinto primordiale, di quella lussuria che chiede di essere saziata, di quella fame che deve essere leccata, assorbita. Succhi copiosi scendevano sulle cosce, sentivo i rivoli sulla pelle.

Si allontanò dal mio fianco e lo sentii posizionarsi dietro di me, il cazzo appoggiato appena sulla mia apertura indecente. Le mani sui fianchi, si “piegò” alla mia richiesta, al mio bacino che si muoveva verso di lui.
Un ghigno sul mio volto, mentre lui mi possedeva.

Avevo vinto di nuovo, nessuno sapeva resistere alla carne tremula e calda.
Il mio piacere non era strettamente carnale, in quel momento, ma era il piacere di una vittoria che si stagliava nella mia mente: lo avevo sopraffatto, credeva di essere il padrone del mio corpo e di tutto il resto. Le corde che riuscivo a toccare con il mio fare lamentoso e piagnucolante, con le mie suppliche, gonfiavano il suo ego.

In fondo la verità era una, eravamo entrambi schiavi: io schiava della mia mente corrotta e perversa, lui schiavo del piacere carnale.

sabato 8 giugno 2013

Viaggio nel cuore e con il cuore


Che cosa è il cuore?
Un muscolo? Forte e perfetto batte il suo ritmo, rassicurante anche se in trappola.
E' un'idea? Un sogno in movimento? Un semplice contenitore di romantiche fantasie?
E' un sentimento? La cura disinteressata della madre per il figlio, fratello per la sorella, il marito per la moglie, l'amico per l'amico? E' il nucleo dell'anima? 
Quello che so è che funziona anche nel dolore, è saggio, parla sempre a bassa voce, nonostante sanguini facilmente.
Nelle mani il cuore offerto all’altro. È terrificante non sapere cosa ne farà.
Sorriderà? Lo accetterà? E se scuotesse la testa, girandoti le spalle?
O peggio ancora… lo prendesse solo per abusarne, giocandoci?
La paura dell’ignoto ci impedisce di essere felici. Il cuore è forte, come è necessario che sia. L’amore ha il suo destino: darsi. Se poi in cambio ne riceviamo alcun dolore… ne è valsa la pena. Un cuore preservato non conosce la gioia, un cuore nascosto non conosce la luce. Un cuore condiviso sa volare… senza limiti. Un cuore che ama, vive la sua libertà.
Il mio cuore è spesso un bastardo, è durante la notte che si fa sentire incessante. La notte è sempre troppo lunga per me, nonostante ami il buio e il silenzio, nonostante ci sia il cane a farmi compagnia. Spesso sto bene con me stessa. E' quando si affollano i pensieri, che tutto fa rumore, persino il mio stesso respiro; il battito del cuore diventa un tonfo, un rumore cupo che detesto. E nel silenzio della notte... tutto è tutto e niente è niente. Ogni cosa si amplifica, il troppo diventa eccessivo e il niente diventa il vuoto. Sempre colpa della mia Dannata Mente e del mio dannatissimo cuore.
Che cosa cerco, perché volo verso tutto ciò che è facile e comodo? Perché mi sono innamorata dell’amore? Mi hanno insegnato le favole da bambina, erano morbide storie, donavano sicurezza in una mente ancora senza malizia, dove le donne non avevano nulla di carnale e gli uomini erano senza paura e puri di cuore.
I bambini imparano presto, ho imparato presto, ma è duro scoprire che le fiabe non esistono nella realtà e per quanto amiamo scoprire verità, per quanto siamo puri e semplici e per quanto corriamo verso abbracci primordiali, sbatteremo anche contro la paura primordiale; in un mondo dove non esistono fate, maghi, principi e regine e le uniche magie a cui possiamo assistere sono le luci del giorno e della notte che cambiano.
Poi si cresce. In un attimo. Ci gettiamo verso l’ignoto, terrificanti verità, quasi assente la dolcezza, la protezione è pari allo zero e i mostri sono li che ci aspettano dietro la porta e a ogni svolta.
E nonostante tutto arriva l’amore: ci protegge, ci illumina, ci governa, ci massacra, ci fa soffrire, ci fa gioire, ci fa fremere e godere, ci fa vibrare, ci fa bagnare, ci fa lottare e ci fa vincere… e poi?
Poi niente. Hai vissuto!

E si continua il proprio vivere altalenando tra momenti magici, dove il cuore comanda tutto: sofferenze e gioie.
A volte è orribile essere innamorati, ti rende vulnerabile.
Si apre il petto e si apre il cuore, questo significa che se qualcuno entra dentro di te può ridurti in briciole e cibarsi delle stesse.
Allora tenti di costruire delle difese, una specie di armatura, in modo che nessuno possa farti del male. Inutile!
Quando dai spazio a persone stupide, non sono diverse da tutte le altre persone stupide e si aggira nella tua vita stupidamente, e tu stupida glielo lasci fare.
Si da un pezzo di se stessi senza chiedere nulla in cambio.
L'amore ti prende in ostaggio, ti entra dentro, a volte vorresti gridare, mentre il tutto si trasforma in una scheggia di vetro che trafigge il cuore.
Fa male, non solo nella mente e al cuore, l'anima è ferita e si odia l'amore.
Ma giocare secondo le regole non fa altro che costringerci a vivere creando confini che portano via tutto ciò che c’è di buono nella vita.
Quindi: spazio all’amore e al cuore!

E te l'ho detto.
L'amore è stupido.
L'amore è folle.
L'amore è tutto.
L'amore è niente.
L'amore rende stupidi.
L'amore fa fare cose stupide.
E io stupidamente vivo... tiè!

Citando Shakespeare
Amore non è amore se muta quando scopre un mutamento
o tende a svanire quando l'altro s'allontana.
Oh no! Amore è un faro sempre fisso
che sovrasta la tempesta e non vacilla mai.
Amore non muta in poche ore o settimane,
ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio;
se questo è errore e mi sarà provato,
io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.
E quando dici “ti amo”? Io non so quando gli altri dicono queste due parole magiche, perfette, il loro suono come una melodia che incanta, cosa vogliano dire. Per me "Ti amo" significa accettarti per la persona che sei, non voglio cambiarti. Vuol dire che non mi aspetto la perfezione da te, come tu non te la aspetti da me. Vuol dire che io ti amo e starei con te anche nel peggiore dei momenti. Vuol dire amarti anche quando si è in uno stato d'animo disperato o quando sei a letto troppo stanco per fare le cosa che voglio fare io. Significa amarti anche quando sei giù, non solo quando ci si è diverte. "Ti amo" significa che io conosco i tuoi segreti più profondi e non ti giudico per quelli, chiedendo in cambio solo che tu non si giudichi i miei. Significa aver cura di te, combattere per ciò che abbiamo e che amiamo. Vuol dire pensare a te, sognarti, avere costantemente bisogno di te, sperando che tu ti senti allo stesso modo per me.
E in tutto questo mio scrivere sarebbe facile scrivere della passione, del modo in cui le tue labbra si appoggiano alle mie, o della tua virilità che prende possesso di ciò che è suo, ma il desiderio, il desiderio come faccio a descriverlo? Come faccio, poi, a scrivere dell’amore?
Come faccio a spiegare di come la tua voce si insinua nella mia mente, una voce che mi tormenta anche la notte, e non è folle se qualche lacrima spunta timida, mi manchi.
Rannicchio attorno a me tutti i cuscini che ho nel letto, arriva un po’ di calore, il cane ai miei piedi è già qualcosa, è pur sempre un'altra forma di vita, che non chiede mai nulla e non mi abbandonerà mai.
Al buio conto i minuti, le ore, passano lente quando gli occhi non si chiudono.
E oggi, ogni parola la scrivo per Te, ogni immagine che vedo, la vedo per Noi, sorrido stupidamente quando mi dici che ti piace ciò che ho scritto, che ti ha fatto pensare a noi insieme, cerco questi piccoli segni e li tengo cari, ma come faccio ad esprimere la cosa più importante?
La tengo con me, la coccolo e ne traggo beneficio... ma ti amo e posso dirlo!








Semplicemente
Dimmi “ti amo”, semplicemente.
Non nel modo in cui lo dici sempre,
ogni giorno che passa,
ma come una volta,
come la prima volta,
in cui ogni briciola della tua mente
era avvolta di meraviglia,
come il sogno che ero,
dove io ero tua per sempre
e tu eri mio.
Dimmi “ti amo”, semplicemente.
Ricordamelo lentamente,
ogni momento,
fammi capire che è vero,
dimmi che sono il tuo tesoro e poi…
io ti dirò “ti amo”… semplicemente.

sabato 25 maggio 2013

Ho ucciso la falena


Febbraio 2012
Il cambiamento non è sempre necessario nella nostra vita, ma quando tutto va a puttane il cambiamento non solo è necessario, diviene la nostra ragione di vita. La mia vita è cambiata notevolmente, in peggio, il dolore enorme, la ferita immane. Resto qui a discernere tra rabbia e dolore, fra la paura e le scelte, smentita continuamente dal comportamento degli altri. Vivo costantemente in una coltre di nebbia che striscia sulla mia vita, come fosse un campo di battaglia, cosparsa del sangue dei morti. La mia vita è cambiata, come quella di molti d'altronde, sopraffatta dagli eventi. Con coraggio devo radunare le mie forze, muovendomi avanti nella nebbia, sperando di non calpestare la vita degli altri e che loro non facciano altrettanto. Confido nelle anime giuste, i miei figli, la mia famiglia, quelli che seguono le mie orme. Ma questa nebbia è così fitta, oggi, che nessuno osa disegnare un singolo respiro.


Marzo 2012
Un volto coperto di stoicismo, il mio, solido come pietra compressa, spinta in una terra asciutta, pressurizzata all’interno della mia anima, tentando di perfezionarmi nel vivere, reprimendo la rabbia e, non posso negarlo, erodendo il mio cuore. Un cuore ormai contaminato, che continua a battere in un turbinio di emozioni che gridano ritmicamente, che mi spingono fino al punto più debole. Il sangue che vi scorre dentro si trasforma, sembra diventare vapore, poi si trasforma ancora e brucia, brucia nella rabbia, non si contiene, sembra dover esplodere da un momento all’altro. Brucia e si vaporizza, si scioglie e si raddensa, accompagna la mia caduta, così profondamente, che sento l’afrore della mia carne morta. Poi divengo di nuovo pietra, solo per essere liberata da quella rabbia che esplode come il fuoco al centro del sole. E tutto tace di nuovo.


Aprile 2012
Sono in quei giorni in cui tutto mi nuota in testa con le immagini e le storie che desidero scrivere. Non riesco a trovare la chiarezza di pensiero o il tempo di sedermi e svuotarlo e, prima di sapere che la mia mente si è spostata su quelle storie, mi sento come se fossi nella risacca, spinta e tirata dalla marea Quella marea che mai si trasforma in qualcosa di sostanziale. Sto nuotando nel mare agitato e sento davvero il bisogno di navigare in altri lidi. Tutto mi sta stretto, tutto mi appare inutile, tutto è perversamente succube del mio dolore. Anche le parole mi si rivoltano contro, la tecnologia diventa mia nemica, non funziona nulla o, forse, sembra a me non voglia funzionare a dovere. Ma tanto, parlare con la gente, non mi servirebbe a nulla.

Maggio 2012
Mi adatto allo scorrere del tempo, mi adatto ai cambiamenti, mi adatto anche al dolore. Lo chiamano dolore, ma nessuno è mai morto di dolore e nessuno mai potrà; comunque il dolore che sento è una parte di me e deve per forza avere una fine. Sono passata dalla fase “incredulità e vuoto” alla fase “rabbia” molto velocemente, nonostante ancora passino avanti e indietro contro di me, come se fossero ali di una falena che non mi vogliono toccare. Tento di liberarmene. Non è una bella farfalla, ma una falena, che lascerà un residuo di polveroso schifo su di me, è quasi senza colore, ma questa immagine mi permette di deridere le mie emozioni, mentre sto negoziando con me stessa. Continuo a dirmi che presto andrà tutto meglio, che merito una vita migliore e, in una sorta di equilibrio, continuo a mantenere il mio cuore nel nero… il rosso sarebbe un appiglio ancora troppo pesante a cui aggrapparsi e mi tirerebbe nel profondo del mare, dove tu ti sei perso egoisticamente. I colori mi danno il senso della vita, ma in questi giorni continuo a vedere il grigiore di quella brutta e polverosa falena, li vedo anche sopra il mio corpo che sembra si sia adeguato ai miei pensieri e abbia preso lo stesso colore. La mano scende sul fianco, la trascino fino al ginocchio, per risalire fino all’interno delle cosce e mi permetto di pascolare lì, accarezzandomi intimamente, come se volessi mutare lo stato delle cose e dei colori. Chiudo gli occhi, cerco i colori dentro il buio, ma spunta di nuovo quella falena che ama il buio, forse attirata dai miei lampi di luce che appaiono timidi. Smetto di toccarmi, quel grigio non mi appartiene… mi addormento, meglio immergersi nella nebbia e stordirsi.

Giugno 2012
Dormo troppo, sono spesso sola, ma mi piace immergermi nella solitudine. Lì trovo la mia pace. Gli altri possono fare anche senza di me: “Possono aspettare…” mi dico e il telefono che vibra, che mi chiama, continuo a farlo vibrare. Non parlo quasi con nessuno, passo il mio tempo con me stessa, le parole divengono il mio rifugio segreto, mentre la falena continua a girarmi attorno, fastidiosa e irriverente. Sembra essere eterna, immortale. Eppure le farfalle sono fragili. Lei continua a sussurrarmi le storie degli altri, dialoga con me e il suo grigio non finisce mai. I nostri sguardi si incontrano, mi sfida, mescolando leggiadre volute a polverosi battiti di ali che sembrano essere i suoi ultimi. Così continuo a contrattare con me stessa una rinascita, non mi importa del tempo che sta scorrendo, questa mia fase è la via di mezzo, il mio passaggio attraverso il dolore, ed è la cosa più divertente che ho nelle mani. Non importa di quello che dicono gli altri, delle colpe che mi danno. Io merito tutto il mio tempo, lo considero ben investito e la falena continua a dirmi che devo farlo, che devo discutere con le sue ali grigie. Mi nascondo? Forse si. Ma devo evolvermi ancora, sopravvivere alle difficoltà del cambiamento, quello che lascia il residuo polveroso e disgustoso, ma che è la grinta che ritrovo tra le mie dita e me ne sono ricordata adesso che lo scrivo.

Luglio 2012
Sono dura, qualcuno mi ha detto che sono senza sentimenti, qualcuno che sarebbe meglio che taccia per sempre (ma questa è un'altra storia). Nulla mi tiene giù, vado dritta per la mia strada e raccolgo sulla via piccole soddisfazioni personali. Ma alcuni giorni, quella brutta bestia della depressione, che si nasconde dentro di me, trova il modo di farsi viva, all’improvviso. La tv è una di quelle cose che la istiga. Ultimamente ai tg si parla solo di morti; gente che non ce la fa più ad andare avanti e allora compie il gesto estremo, donne violentate, bambini defraudati della loro innocenza, vecchietti malmenati per poche lire, incidenti d’auto dove spesso muoiono giovani. Ed ecco che il grigiore delle nubi riappaiono e la falena torna a trovarmi. Il dolore degli altri mi tocca profondamente, forse per averlo provato sulla mia stessa pelle, e quando mi guardo in giro vedo dolore ovunque, permea l’aria caldo-umida, preme sul fango della mia anima, si inerpica con le unghie sulla mia schiena… ascolto la mia stessa agonia. Forse è un male necessario, per apprezzare di più i colori e la luce, quando riappaiono. Continuo a lasciar scorrere la mia vita, come sulle note di un valzer per ora moderato.

Agosto e Settembre
Mi sono mancate le parole, ho perso molto. Ho allontanato persone per qualcuno che non meritava nemmeno l’ombra di un mio sorriso. Gli occhi si sono spenti, le lacrime affiorate, poi scese copiose. Il dolore di nuovo il mio Padrone. Tento di ritrovare la via giusta, allontanarmi da tutti, non mi può far altro che bene. Rintanata nelle quattro mura di casa mia, come compagno il mio cane, torno a riflettere su me stessa. Contratto ancora con il buio e il grigiore della falena e finalmente riappaio. Una flebile luce all’orizzonte mi appare. Ecco, era solo apparenza (anche qui l’ho capito troppo tardi).

Ottobre 2012
Il silenzio è una lingua che la maggior parte di noi non conosce molto bene. Il silenzio la dice lunga senza proferir parola. Il silenzio può dire con amarezza: “Ti odio.” Può parlare di rammarico, può parlare di tutto e di niente. La cosa più importante che il silenzio può dire, sono i “Ti amo.” Quando il silenzio dice “Ti amo”, se la persona a cui viene indirizzata non parla correntemente la lingua del silenzio, non potrà mai prendere atto del calore nascosto in quelle parole invisibili. O, anche peggio, si risentirà del tuo silenzio. E mentre la mia voce, nel silenzio, urla, dubito che l’amore dell’altro veramente esista. E continuo a dirmi: “se non riesci a comprendere i miei silenzi, non riuscirai a capire nemmeno le mie parole.” Tuttavia, continuo a seguire la mano che mi è stata tesa, uno spiraglio di miglioramento è alle porte.


Novembre 2012
Continuo a parlare con il silenzio, richiede la mia attenzione. Ascolto il mio cuore e tento di capire perché le mie parole spesso affondano nelle sabbie mobili dove sono sepolti i miei segreti. Mi apro, spiego, parlo, racconto, scrivo… sto imparando la lingua del silenzio, lentamente, ma sto imparando da lei. Il silenzio è a disagio, sia quando si trova e quando si trova, ma ho scoperto che c'è sempre qualcosa da dire sul silenzio, a volte vuol dire, "ti amo." A volte vuol dire, "Mi manchi. "Di solito, per me, vuol dire:" Io sono una pazza." Il silenzio, adesso, non mi lascia mai soddisfatta, sento sempre un vuoto e il mio cuore soffre per qualcosa. Io non so nemmeno quello che dovrebbe essere, e affogo quel sentimento con un'altra tazza di caffè. Il silenzio mi fa sentire stupida. L'amore mi fa sentire stupida. Sto imparando la lingua del silenzio, che è un po' come il linguaggio dell'amore.


Dicembre 2012
Immagino di fare le cose che mi chiedi. Ti immagino che mi aspetti nella camera d’albergo, gli accordi sono quelli. Immagino tutto prima di arrivare da te. Ma mai avrei potuto immaginare quello che è accaduto dopo. Ho fatto una doccia calda prima di arrivare, voglio la mia pelle calda e duttile, da impastare, come la più morbida pasta del fornaio: calda, malleabile e profumata. Naturalmente sono nervosa, desiderosa di compiacerti. Mi attengo ai tuoi desideri. Entro nella camera e tu sei lì, che mi aspetti. Mi chiedi di spogliarmi, lo faccio riluttante, non mostro facilmente le mie cicatrici. Il silenzio attorno, non parli e non parlo. Nel gioco di sguardi prende il via la nostra notte. Nell’illusione di averti donato il mio corpo e l’anima, ripartiamo assieme al mattino. Due treni diversi, due pelli che mai più si sfioreranno. Vane le promesse e le parole, era molto meglio il silenzio.

Gennaio 2013
Quando si tratta di dolore, si parla di accettazione, come se fossero solo lettere consecutive, con il loro suono particolare, unico. Poi ci sono tutte le altre lette, quelle che causano tanto rumore nella testa quando si chiudono gli occhi. La parola dolore è una di quelle, una di quelle che fa più rumore di tutte, ma ha dei buoni compagni. Ho passato questo ultimo anno con il dolore, con il vuoto, con i ti amo,con le bugie, con le false promesse, con i vorrei ma non posso, con il cambiamento, in un turbinio di emozioni negative e positive. Tutto ha causato tanto rumore, specialmente il mio cuore andato in frantumi. Ma stavolta non ho mollato, ho cacciato la falena, tutti i giorni. Ho ridotto a un muscolo il mio cuore, lasciandomi tenere in vita. Mi sono rimboccata le maniche e ho fatto quello che non credevo mai potessi fare. Mi sono vendicata e non me ne vergogno. Il tempo mi darà ragione.

Febbraio 2013
Con il mio cuore in pezzi ho iniziato il mio nuovo viaggio, il sole e la luna testimoni dei miei giorni, le stelle piccoli astri che sono apparsi pian piano nel mio personale universo. E’ un processo lento e nulla posso fare per accelerarlo. Faticosamente mi sono ripresentata agli altri, ho rasentato il cinismo, a dire di qualcuno, mi sono rimessa in gioco, inizialmente, al pari dell’altro sesso: di tutti e di nessuno. Come le maree mi sono data e rilasciata, ad ogni rotazione dei corpi celesti. Alla fine tutte le rugosità sono state lisciate, la pietra che rivestiva la mia essenza (parola grossa, ma c’è) scalfita e ho accettato il mio dolore.

Marzo 2013
Ho fatto un grosso passo avanti, rilasciato tante cose, pensieri ed emozioni. Come le gocce di pioggia che evaporano dalle pozzanghere dopo un temporale, come le foglie che naturalmente cadono dagli alberi in autunno, ho lasciato andare le mie emozioni verso il naturale processo di cambiamento. Non sono i miei vestiti, non sono i beni che posseggo, non sono il posto di lavoro che occupo, ne il colore dei miei capelli, ne il modo in cui mangio. Non sono la mia auto, ne il caffè che bevo. Sono molto di più, questa la mia nuova convinzione. Posso portare nel mio viaggio, verso il benessere, ciò che voglio, quello che ho costruito nel mio cuore, quello che risiede nella mia anima. Attendo che il grigiore scompaia del tutto.

Aprile 2013
Ora chiudo gli occhi e mi riguardo tutto. Tutto il bagaglio superfluo del vecchio, lo lascio alle spalle. Chiudo la porta di quella stanza che risiede nella mia memoria e la faccio divenire cenere, grigia come la falena, senza bellezza, senza colore e senza calore. Si, mi sento esposta, messa a nudo, ma non mi sono mai sentita così pronta a lasciarmi tutto alle spalle come adesso. Sento già i violini in sottofondo, strumenti a corda che tirano le mie stese corde. Ho aperto gli occhi e sono pronta a scoprire quello che la vita mi offre, la mia prossima evoluzione. Il dolore mi toccherà ancora, nessuno può fuggirlo e nemmeno io, ma il suo potere su di me è minore, il mondo mi sembra persino bello.
… E il viaggio continua, in un moto perpetuo come le maree e tutto l’universo che ci appartiene e a cui apparteniamo.


Maggio 2013

Il sole si deposita all'orizzonte e attendo il blu di un cielo punteggiato di stelle.
Scherzo, chatto, sorrido alle stronzate della gente, tutto sembra essere lieto in questa serata dove nulla è dolore e grigiore. Siedo tranquilla, viaggio con le parole, descrivo un desiderio, attendo di seguire un orma... una promessa. Una brezza leggera entra dalla finestra aperta, il miagolio dei gatti del vicino, l'abbaiare di un cane in lontananza... tutto è normale. Ascolto una canzone, poi un'altra e un'altra ancora. Una farfalla notturna entra dalla finestra, sbatte le ali, non conosce la propria fragilità. Se solo avessi saputo la mia...
Una doccia prima di infilarmi sotto le coperte... l'acqua evapora, la pelle di seta, mi crogiolo nella morbidezza di un asciugamano, prolungo l'abbraccio pensando sia tu a farlo. Poi parole, ancora parole tra noi. Tutto scorre e si infiamma nelle vene, diviene calore e colora la prime ore della mia notte.
E poi cado, improvvisamente, nel buio più nero di una notte senza luna, senza un suono, senza un motivo apparente. Sento sussurrare il mio demone, rifiuto di ascoltarlo, ma insiste e si gode il mio malessere. A nulla valgono le parole, le tue. Rannicchiata su un fianco, afferrando il mio stomaco dolorante, cerco una ragione e non la trovo. Passo così la mia notte, con gli occhi sbarrati a guardare le ombre, cercando una ragione per rialzarmi. Le ore passano lente, la notte sembra non finire mai, attendo impaziente la luce del giorno e quando arriva comprendo che devo farcela da sola, il mio fardello deve essere svuotato, solo così potrò dire di aver vinto di nuovo su quel demone oscuro e prepotente.

venerdì 3 maggio 2013


- Ferma mia piccola slave, non muovere un muscolo.
- Signore, sono qui per guardarla e servirla.
Lo aspetto in ginocchio, la schiena eretta, il mento leggermente rialzato, a guardarlo. ad ammirarlo.
I miei occhi cercano la sua approvazione, rimango in attesa, solo un lieve respiro muove le mie membra.
- Sei la perfezione, la mia creatura, il mio tutto... sussurra mentre mi chiude al collo il segno della mia Appartenenza a Lui.
Sento la pelle che si appoggia alla mia pelle, un brivido lungo la schiena.
- Questo e' il segno della tua devozione a me, della tua adorazione. Mi appartieni, totalmente, sei Mia e solo Mia.
Mi godo il freddo pavimento e le sue calde ginocchia, appoggio il capo, mi accarezza.
- Guardami....
Alzo di nuovo gli occhi, arrossisco, il suo sguardo e' sul mio corpo, nudo ed umiliato a terra.
Un calore avvolge le mie intimita', mentre seguo i suoi occhi che guardano il suo gonfiore, la sua eccitazione.
Lui li abbassa e saggia la mia eccitazione, sono bagnata.....
- Quest'audacia sara' la tua attesa, attenderai il mio gusto, mi leccherai solo al mio ordine, adesso attendi.....
Si alza, prende un giornale e si mette a leggere, vicino alle sue gambe una cinghia.
Attendo, minuti interminabili, ogni tanto passa sulla schiena la fibbia, leggera e fredda.
Mi mordo il labbro, i capezzoli tesi, tradiscono lussuria...il pavimento ora umido dei miei umori.
Se ne accorge.....
- Il tuo bisogno e' cosi' grande mia piccola slave? Cio' che ti serve e' qui, sono io.
Quanto sei forte Padrone?
Sei cosi' forte da rischiare il cuore per me...
Quanto sei forte Mio Signore?
Sei cosi' forte da rischiare il dolore e la sofferenza..
Quanto sei forte Padrone mio?
Sei coraggioso abbastanza da vedere la bambina rannicchiata e impaurita, cosi' forte anche quando non voglio vedere il mondo attorno?
Sarai cosi' forte da risollevarmi?
(cit. dal blog Keilani)

Un ricordo


Sogno con il vento sul viso,
sto volando in alto,
libera nei miei sogni,
libera di urlare al mondo che amo,
libera di ridere a tutti i sapori della vita.
In questi momenti di libertà,
sono solo io e il mio sogno!
(cit. blog Keilani)

venerdì 8 marzo 2013

Orgiastici inviti



Ne è valsa la pena, posso urlarlo al vento. Ore scarse di sonno, il lungo viaggio per rientrare, il ronzio del motore ancora nelle orecchie. Gli occhi ora sono appiccicosi, stanchi, non stanno aperti, un po’ confusa. Le cose che ho visto, quelle che ho pensato di aver visto, le cose che sono successe, sono fotogrammi impressi nella pellicola della mia Kodak d’altri tempi che tengo sempre nella borsa. Un mare ondeggiante di corpi, un serraglio di corsetti, pelle, glitter, vernice, calze a rete. Colpa , o merito, di Giovanni, chimico estroso e folle, entrato in biblioteca e aperto una boccetta con un liquido fumante. Mi aveva avvertito con una mail: “Entra in biblioteca “D’Annunzio” alle 19,30 scoprirai vizi privati e pubbliche virtù” Non so quello che si rivelerà nella camera oscura, ma l’orgia, di sicuro, è impressa nelle mie mutandine.

giovedì 7 marzo 2013

Dicotomia (Parte terza)



Li ai suoi piedi, in attesa, non poteva far altro che guardarla. In attesa di un suo ordine, di un suo cenno, adorante e consumato dalla lussuria. Il frustino in mano era pericolosamente vicino al suo membro eccitato, si aspettava una punizione invece Margot si alzò dal letto, sbattendole davanti al viso il  ventre.  Il profumo del sesso di lei lo fece fremere,  inalò a pieni polmoni e allungò la lingua a lambire la fessura che si intravedeva dall’apertura dei pantaloni.
Margot lo prese per i capelli obbligandola a guardarla e: “Ti ho detto di leccarmi? Non mi sembra. Non te lo sei ancora meritato. Alzati e accendi le candele.”
Riccardo se ne era dimenticato. Primo errore della serata, ne faceva a bizzeffe e si rammaricava di non servirla a dovere, eppure gestiva con attenzione l’altra sua personalità. Scivolava oltre i confini, fondendosi completamente con le idee e i pensieri della sua Dea, finchè non era completamente immerso nella sua rete, intrappolato in una sorta di nodo gordiano che solo lei poteva tagliare. Era stata una scelta facile lasciarsi coinvolgere, ma allo stesso tempo selettiva. Aveva scelto lui di presentarsi a quella maniera, sottomesso; lui aveva compreso  che sotto il velo di presunzione di Margot, sotto gli abiti lussuriosi e pretenziosi, si celava una donna dai sentimenti profondi. Lo amava, a modo suo. E lui ricambiava il suo amore prostrandosi ai suoi piedi; non era uno zerbino qualsiasi, diveniva un amante focoso quando lei lo richiedeva e le attenzioni che Margot gli dedicava erano nutrimento per l’anima, perle che avrebbe portato con sé durante i giorni di noioso lavoro. Non era una semplice soddisfazione fisica, ma uno scambio di sensazioni ed emozioni degne di essere vissute.
Quando tutte le candele furono accese, Margot era pronta con la gabbietta per il pene.
“Stenditi sul letto, dobbiamo ingabbiare le tue voglie, non è ancora giunto il momento del piacere.”
Riccardo obbedì riluttante, non gli piaceva quell’infernale macchinetta. Margot lo sfiorò in tutta la sua lunghezza, accarezzò il glande lievemente umido e non fu facile intrappolarlo. Il dolore che seguì lo si poteva vedere dalle smorfie che si disegnarono sul viso di Riccardo, lentamente si abituò a quella costrizione obbligata, seppellendo le fitte in un angolo della mente. Aveva imparato a controllare il dolore trasformandolo: appena appartato il dolore il piacere che sopraggiungeva lo colmava e addomesticava le sue voglie.
Finita l’opera, Margot prese il collare che teneva su uno dei comodini accanto al letto e rivestì il collo di Riccardo, completò l’opera agganciando un guinzaglio di pelle e catene. Lo tirò per la catena costringendolo ad alzarsi e lui docile la seguì in cucina, camminando al suo fianco e non carponi come avrebbe voluto una semplice mistress, leggermente arretrato rispetto a lei. Sul tavolo della cucina erano pronti una serie di ingredienti per la cena.
“Cucina per me come sai fare, cucciolo.” Gli ordinò Margot, sganciando il guinzaglio.
Lui si mise ai fornelli, lei lo osservava. Ogni tanto si alzava dalla sedia e gli andava vicino. Lo sfiorava leggermente, oppure usava il frustino per alzargli il capo e scambiarsi sguardi, altre volte lo prendeva per i capelli e si lasciava baciare. Riccardo era eccitato, il pene lanciava fitte di dolore, ma sapeva che prima o poi sarebbe finita. Quando fu pronto portò a tavola il cibo e la servì, attese in piedi accanto a lei un qualsiasi ordine.
“Ho bisogno di te qui sotto.” Margot gli fece cenno di andare sotto il tavolo e schiuse le gambe per farsi ammirare.
“Adesso puoi leccare, cucciolo.” 


Dicotomia (seconda parte)


Margot si stava cambiando e Riccardo rimase a guardarla affascinato dallo spiraglio della porta che aveva lasciato semi-aperta. Seduto in poltrona faceva roteare fra le mani il bicchiere con il drink che si era preparato, fingendo di interessarsi al programma che davano in tv. Margot non era mai banale, ma quando erano insieme lei amava costruire il suo personaggio. Esasperava il trucco e gli indumenti che amava indossare erano quasi sempre neri, di pelle e molto aderenti. Spesso Riccardo aveva pensato che tutto quel costruire oscurava le grazie di Margot anziché aumentarle, ma nei loro giochi perversi lei si sentiva a posto abbigliata alla sua maniera, la capiva e non lui disdegnava. In fondo non era lui al comando.
Quel venerdì non erano questi i pensieri che correvano nella testa di Riccardo. A metà strada della trasformazione, Margot si specchiò, ammirandosi. Lui non poté fare altro che far finta di non guardarla, questo le aveva promesso e il desiderio di assaporare la sua pelle cresceva di pari passo con il corpo di lei che veniva coperto dal lattice nero lucido. Margot afferrò la lampo e la tirò verso l’alto umettandosi le labbra dipinte. Riccardo, nudo in poltrona nel corridoio che portava alle camere della grande casa di lei, era eccitato e vibrante. Un’attesa che lo stava facendo impazzire. Il membro pulsava e cresceva e quasi sicuramente lei lo avrebbe punito. Non poteva far a meno di guardarla, una grazia felina anche nelle mani con le unghie laccate e curatissime, artigli che artigli non erano.
Appariva tutta lattice e rossetto, brillante in ogni dove, lo specchio alle sue spalle la rifletteva, così da poterla guardare da ogni angolatura. Era tutto in mostra, spremuto nei modi giusti, i seni appena contenuti dalle coppe del lucido corsetto e dalla lampo che non era chiusa del tutto, pericolosamente strabordanti. Adorava quei seni, leccarli e donarle piacere, sensibili al tocco della lingua si gonfiavano sotto i suoi tocchi, sotto i suoi esperti movimenti della bocca. Il ventre piatto coperto dal pantalone aderiva perfettamente al suo corpo, i glutei sodi e pieni contenuti e alti, intravedeva la fessura aperta sulla vagina, dove spiccava il roseo della pelle glabra.
Tuttavia la luce della camera era scortese, troppo sterile e senza calore, appena le avrebbe permesso di entrare si era promesso di accendere delle candele. La fiamma tremula delle candele donava alla stanza un tocco diverso, caldo e accogliente. Riccardo sorrise scaricando in gola l’ultimo sorso del suo bicchiere. Si alzò disobbedendo agli ordini di Margot ed entrò in camera.
“Margot… Padrona, siete la mia divina creatura.” Fu una ulteriore dichiarazione di resa. “Non ho potuto fare a meno di ammirarla e ho bisogno delle sue attenzioni. La prego…” Si inginocchiò ai piedi di lei, calzati in una decoltè nera dal tacco altissimo, ne inalò il profumo e rimase in attesa guardandola supplicante.
Margot gli sorrise, lo guardò a sua folta, scandagliando il corpo nudo del suo schiavo e si soffermò per qualche istante sul membro eccitato e pulsante. “Sei un monello perverso. Non sai attendere.” Lo lasciò in ginocchio, prese il frustino in mano e si sedette sul bordo del letto con le gambe semi-aperte, in una posa elegante e al tempo stesso invitante.

domenica 3 marzo 2013

Aria rossa...


Il mattino era arrivato prima di quanto pensasse, i suoi occhi si aprirono a fatica e si persero nella luce della camera, toni caldi, tanto da smarrirsi, gettavano sangue sul pavimento e alle pareti in turbini ammalianti fino a riempire la stanza di un velo porpora. La notte era stata frenetica e gli eventi avevano preso una piega che non si aspettava ma, per quanto inaspettati, degni di attenzione. La sera prima ebbe appena il tempo di gettare i vestiti, prima di affondare in quel letto in compagnia di una donna appena conosciuta, senza la possibilità di chiudere le tende. Lei dormiva ancora, accanto a lui, il ritmo costante del suo respiro indicava che era ancora impantanata nel sonno e ne avrebbe avuto per un bel po’. Non ebbe il coraggio di svegliarla, ne aveva appena per continuare la sua strada arrancando verso la coscienza e il calore del giorno. Fece scivolare il piumino dal corpo con riluttanza e si alzò. La camera era fredda, alcuni brividi scivolarono sulla pelle, fino al membro che, come al solito, si presentava nella sua fierezza, turgido ed eretto. Rinunciò a prestargli attenzione incuriosito dalla luce che entrava dalla finestra e ovviamente, per lui, la curiosità correva sempre davanti alle sue strette necessità. Forse perché non era nel suo solito ambiente, non era la sua camera e il suo letto, o forse perché quella donna era al posto di qualcuna che poneva il suo primario interesse verso i bambini piuttosto che al sesso, riuscì a fatica a mettere un passo dietro l’altro, ma si piazzò con le mani appoggiato al davanzale e guardò oltre il vetro.
Rimase alla finestra per un tempo indefinito, e nonostante l’ocra dell’alba si stesse affacciando in un nuovo scenario, una figura pallida comparve contro lo scarlatto dell’aria. Fuori da quella stanza le colline toscane erano un bagno di sangue, il casolare e le costruzioni adiacenti dipinti sanguigni, marroni e verdi sporcavano il rosso, il cielo era devastante e lei… la sua figura in un manto magnifico.
Nonostante il volto nascosto e quel poco di chiarezza mentale dopo una serata di bagordi tra alcool e marijuana, la riconobbe. Pensò di sentire anche la sua voce, un suono ammaliante e una melodia conosciuta, un canto che spesso aleggiava nell’aria quando era nella sua casa, una nenia al pari di una ninna nanna. Si guardò alle spalle, guardò il modo in cui la luce si fondeva con l’oro dei capelli della donna nel letto, rendendoli più caldi. Sembrava innaturale, tutto era innaturale, anche la sua presenza in quel posto. Tornò a guardare fuori e, mentre la figura della donna si dissolveva contro il cielo di sangue, il sole si scrollò ed entrò a comandare e tutta la tavolozza dei colori tornò alla normalità, il rosso drenato completamente dal cielo.
Aveva passato gran parte della sua vita a rafforzare le sue convinzioni, esaminando le strutture e il contesto in cui si trovava, ogni volta, e faceva in modo di trovarsi sempre su una base solida e consona alla sua vita sociale, padre amorevole e marito adorabile. Stavolta, nonostante sotto i suoi piedi avesse solidi mattoni, si sentì scivolare nella sabbia erosa dal mare.

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Nei proverbi: Aria rossa o piove o soffia... un avvertimento?

sabato 2 marzo 2013

Dicotomia




Venerdì. Finalmente un’altra settimana si era conclusa. Appena fu fuori dall’ufficio, allentò il nodo della cravatta e se ne liberò. Il portiere gli aveva già parcheggiato l’auto sul vialetto dell’azienda che dirigeva e lo attendeva con le chiavi in mano.
“Buona serata, Presidente. Ho fatto pulire l’auto come mi ha ordinato.” Parole coronate da un inchino dell’uomo, sempre molto educato e al suo posto. Riccardo scambiò le chiavi con una lauta mancia e saltò sull’auto.
A casa, la prima cosa del venerdì era una doccia, ed era come un rito. Entrava nel box e apriva l’acqua, senza prima farla scaldare. La prima esplosione faceva sempre un po’ male, il contrasto era violento: acqua gelida e piatto freddo sotto i piedi, poi il tepore fino ad arrivare a temperature bollenti. Faceva parte del rituale, il sibilo dell’acqua e il rantolo basso che eruttava dalla sua bocca, quando il calore diventava insopportabile e spingeva contro la pelle come una miriade di aghi. Una sensazione familiare per un processo familiare, ed era in momenti come questi che si sentiva folle, quasi rasentare la schizofrenia, ma le sensazioni che provava erano di pulizia assoluta. Forse pulizia da quella vita che non si era scelto,  obbligato a mettersi alla guida dell’azienda di famiglia quando suo padre venne a mancare. Poteva sentire letteralmente spostarsi la propria personalità, abbandonare comportamenti che non sentiva suoi, quelli di tutti i giorni, e si trasformava. Due personalità completamente opposte. Il Presidente dedito al comando, sempre in posizione dominante e dal venerdì alla domenica sera…
L’acqua sul viso, sul petto e sulle gambe, sempre bollente. Poi sul capo, in rivoli quasi purificatori. Sapeva che da li a un’ora sarebbe stato perfetto, essendo esattamente chi voleva essere. Ancora un urlo liberatorio e l’ufficio  fu in un angolo della mente, voleva sfuggire alla monotonia del lavoro, l’acqua ancora bollente, ma ora si sentiva pulito, giusto. Il calore eliminava via l’ultima essenza dell’altro e si fondeva per essere nuovamente ricostruito. Una mano in su, contro il muro, inclinato, con la testa in avanti e il flusso deviato sulla schiena.  Lottò ancora qualche istante contro l’uomo dominante e potente, poi chiuse il getto della doccia. Rimase qualche secondo eretto e fiero, godendosi i caldi vapori del bagno prima di affrontare il freddo del corridoio che lo portava alla sua camera. La testa e i pensieri rivolti verso quella donna che lo attendeva. Due giorni di assoluta dominazione e obbedienza, ma non sarebbe stato lui a comandare. Non sentiva venir meno il rispetto verso la sua persona. Godeva nel sentirsi amato da quella donna e ricambiava il suo amore piegandosi, inchinandosi alle sue voglie e capricci, adorandola come lei chiedeva e ordinava.
Era una fuga, piuttosto che una routine. Una fuga da tutte quelle persone che lo rispettavano per i suoi modi e per il suo potere.  Riccardo aveva trovato il suo personale equilibrio sdoppiandosi. Il venerdì attuava la separazione e mentre uno esauriva il suo potere, l’altro si ricaricava e guadagnava forza. Un compromesso con se stesso per nascondere la sua vera natura che nel mondo “normale” nessuno avrebbe approvato, come se una posizione professionale dominante doveva essere la stessa anche sessualmente.


venerdì 1 febbraio 2013

Masquerade


“Vieni con me…”
Lui allungò la mano e io l’afferrai. Avevo promesso a me stessa una serata diversa, senza pensieri o remore, senza aspettativa alcuna. Volevo solo divertirmi, ero stata troppo a lungo rinchiusa, sola in quella casa dove tutto mi parlava di un passaggio velato e veloce. Lo avevo amato, ma ora era finita. Male, era finita. Perché piangersi ancora addosso, nessuno meritava le mie lacrime.
La mano era forte e sicura, calda e avvolgente. Mentre salivamo le scale, lui svelò il suo desiderio. Lo appresi come una favola perversa, sesso con un perfetto sconosciuto, di cui non vedevo il viso, nascosto da una maschera dall’espressione indecifrabile, a una festa di carnevale. Il mio abito sontuoso, ricco di merletti e lustrini, il seno in bella mostra schiacciato in un corsetto d’altri tempi, in testa una parrucca bionda e un cappello, la maschera copriva il mio volto completamente. I miei più oscuri sogni e passioni trasportati nella realtà, con un uomo che voleva solo il mio corpo. Che importava, ormai! Lo avrei fatto, anche solo per soddisfare il mio corpo, senza implicazioni di mente e cuore, senza anima. Sesso allo stato puro, animalesco se avesse voluto. Finimmo in una stanza buia, illuminata dalla fioca luce dei lampioni sulla strada. Lui cercò di districarmi dall’abito, o almeno dagli strati superiori e io armeggiai con il suo costume. Le maschere ancora sul viso di entrambi, respiravamo la stessa aria, ma nessun tocco di labbra, come volessimo tenerci distaccati e assaporare solo i piaceri del corpo. Tirò le stringhe del mio corsetto, il busto ormai in evidenza, i seni gonfi e i capezzoli eretti. Anche il sottogonna finì presto a terra e le mutandine lacerate dalla sua irruenza, finirono nel mucchietto del costume, una piccola e insignificante macchia bianca tra il ricco carminio del tessuto. “E’ mio, vedi?” Lui aveva afferrato un capezzolo tra le dita, lo stava torturando, mentre l’altra mano affondava tra le cosce, come a saggiare la mia eccitazione. Mi stava guardando al di la della maschera, gli occhi fiammeggianti lussuria ispezionavano la sua preda, rabbrividii come se qualcuno mi avesse passato del ghiaccio lungo la schiena. I suoi occhi ricoprirono ogni parte di me, le sue mani continuarono ad esplorare, allungai le braccia verso di lui, nonostante avessi le gambe malferme, quasi tremolanti, per toccarlo. Un moto di audacia, solitamente assente in me, mi diede lo stimolo ad avvicinarlo più intimamente, sfiorai il suo pene eretto, poi lo afferrai con entrambe le mani, una lungo l’asta, l’altra sullo scroto. I suo gemiti di approvazione mi spinsero oltre, le mani si muovevano veloci, e avrei voluto assaggiarlo con la bocca, ma non volevo togliere la maschera, volevo mantenere il mio anonimato, non volevo essere coinvolta in altra maniera se non quella del sesso e del piacere fisico. Lui continuava a muoversi sul mio corpo, forti e invadenti, le mani, si facevano strada in morse di acciaio, mi consumavano, mi sostenevano, esploravano e alla fine, non avendo più nulla da conoscere, trovò nuovamente la strada della carne calda, gonfia e umida. “Tutta mia, vedi?” disse, stringendo tra le mani le labbra calde, intrufolando il medio tra le pieghe. Impossibile rimanere ferma, e inutile stringere le gambe, lo volevo. Volevo che le sue mani danzassero su di me, volevo esplodere e dissetare la mia pelle bruciata, volevo spegnere quel fuoco divampato dalle sue mani sapienti. Era un amante esperto, conosceva come portare una donna a supplicare di essere posseduta. Lo pregai: “Scopami, per favore. Ne ho bisogno.” E poi… poi mi sono persa, per un attimo tutto divenne sfocato, le mie mani si muovevano su di lui e le sue su di me. Il suo respiro sul mio collo, le sue cosce che sfregavano con le mie, potei sentire la sua presenza ovunque sul corpo, anche dove non poteva arrivare e ben presto mi resi conto che poteva toccare tutto di me, anche solo con un sussurro. Mi stava parlando, e non erano parole dolci, erano parole che scolpivano e colpivano, mi trasformarono in quello che lui voleva che fossi. Mi fece girare di spalle, una mano mi teneva contro di lui e l’altra tra le gambe, oscenamente aperte a rendergli il passaggio più facile. Ancora delle parole, irruenti e pretenziose e presto si mosse dentro di me, furioso. Respiravo a fatica, mi teneva stretta e affondava i suoi colpi dentro di me nel suo ritmo incessante, teso lui, piena io del suo membro, infilzato e palpitante nel fuoco della carne tremula. Ogni spinta un ringhio basso di lui, un mio gemito e mugolio, musica e danza assieme. Sfrenati e consumati dalla lussuria, avvolta attorno a lui, il suo ultimo gemito divenne ululato, trafisse il mio cervello, liberò tutto quello che aveva dentro di me ed io esplosi tremante sulle gambe, scossa da un orgasmo altrettanto liberatorio.
Era finita. Senza parlare ci separammo e ognuno raccolse le sue cose, per ricomporsi e tornare tra la folla ridanciana e carnevalesca. Uscii dalla stanza e nel corridoio scorsi uno specchio, mi fermai a guardare. Pensavo di sapere che cosa volevo, pensavo anche di aver dissetato le mie fantasie perverse con quell’amplesso appena concluso. Ma era questo quello che volevo? Era questa la sicurezza della pace della mente? Non venire coinvolti dalla presenza di un altro, se non con il piacere fisico? Cosa mi aspettavo da un’esperienza fisica e basta? L’avevo presa come una sorta di esperienza catartica, un modo per purificare anima e mente da tutte le sofferenze passate, ma era giusto? Nella testa si affollarono dubbi e domande come non mai, ne avevo un’infinità. Con un moto di stizza sospirai per le mancate risposte, continuando a specchiarmi. E mentre stavo lì, a guardare me stessa, con quella maschera sul volto, sembrava che non mi fossi mai vista così da vicino. Quella creatura che mi guardava, non era la donna che si era lasciata scopare da uno sconosciuto. “Guardati…” sussurrai impercettibile. Ora tutto aveva un senso. Non ero l’ombra della donna appena finita di usare, ero una femmina brillante e intelligente, potevo essere nuda e cruda, potevo essere qualsiasi cosa volessi che fossi. Da quel momento, io avrei scelto la forma e il modo, io avrei scelto chi e dove, io avrei additato la preda e ne avrei tratto beneficio. In fondo bastava una maschera, invisibile o visibile non era importante, importante era essere soddisfatte e consapevoli di quello che si era fatto. E se il sesso era il modo giusto per stare bene, aveva ora le porte aperte e un sorriso sotto la maschera, che in pochi avrebbero visto ma c’era.

domenica 30 dicembre 2012

La baia di portonovo


Prova a immaginare per un momento ...
Immagina una calda notte d'estate, con una brezza che sale dalla riva del mare. L'aria è carica di umidità, e profumata dalle ginestre che ondeggiano nel vento. Il cielo è ancora arancione, incandescente dal sole al tramonto e le nuvole che si distinguono sembrano essere espressioni oscure di un pittore triste. Creano una vista incredibile, un caledioscopio di colori, texture e sfumature che poche volte si vedono nei preludi notturni.
Pensa: abbiamo finito una cena succulenta sul patio in pietra della "Rocca di Portonovo" in compagnia di amici. 

Laura


Laura vagava per la stanza, con la mente altrove, la giornata sembrava esser volata via. Lo avrebbe finalmente incontrato, e se in passato avrebbe voluto averlo accanto in qualsiasi istante, a odorare la sua pelle e assaporare i suoi umori,
 ora il suo stato d'animo era completamente diverso.
Si era presa i suoi tempi per spiegare quello che voleva, quello che le sarebbe piaciuto e il perché.
Tutto aveva un senso, e in quei momenti, al telefono o in chat, niente di tutto questo stato d'animo che la coinvolgeva era sembrato strano. Davvero,lo voleva,ma forse non era pronta e un dolore si faceva strada al suo interno, inspiegabile.

Buon Natale amore


Mi hai detto di aspettare. Ma come? Guarda che posizione che mi hai imposto! Con il sedere in aria sopra i cuscini. Aspettare cosa poi?
Per fortuna siamo soli. Ma se in giro per casa ci fosse qualcuno? E quel qualcuno entrasse nella camera? Mi hai anche detto di avere un’idea. Ma dove caspita sei andato? Perché ci metti così tanto?
E le mutandine sono ancora li, esattamente come erano prima: a metà cosce. Mi hai detto di lasciarle così. Abbassate per esporre la fica al tuo sguardo… hai detto… per ricordarmi sempre di non aver pudore.
Spero ti sia piaciuto guardarmi mentre gattonavo verso la tua camera, inciampando con le mie stesse mutandine abbassate. Credo di essere stata notevolmente ridicola… sai?
E adesso attendo. Sono in attesa di sentire il rumore dei tuoi passi, chiedendomi ancora cosa attraversi la tua fervida mente, così perversa e lussuriosa. E io… ho paura? No, so di essere al sicuro con te. So che mi userai ancora e ancora, ma non sei sadico, adori il piacere… mio e tuo.
Sono stata indisciplinata, lo so. Non ho obbedito sempre. Irrispettosa dei ruoli e indisponente nei toni. Cosa devo aspettarmi adesso?


domenica 21 ottobre 2012

Eva

“Signorina Eva, può venire nel mio ufficio, per favore.” la voce dall'interfono la scosse dai suoi pensieri.
Stava alzandosi quando se lo ritrovò alla porta del suo ufficio, lavorava per Roberto da poco meno di un mese, sembrava che fin'ora non avesse mai fatto niente di buono, sempre a redarguirla. La riempiva di lavoro, le chiedeva continuamente di confermare e prendere appuntamenti, di digitare rapporti e recensioni... lei era sempre in ritardo ed ogni scusa
 era buona per uscire prima dal lavoro, insomma non era quel che si diceva un rapporto di lavoro tranquillo.
“Signorina Eva, sveglia! Si accomodi nel mio ufficio.” tuonò ancora.

sabato 13 ottobre 2012

Gazpacho a sorpresa

Gazpacho a sorpresa.
Quando le disse che avrebbe cucinato per lei, fu felice.
Amava vederlo ai fornelli, le mani veloci e sicure... tagliò le verdure a cubetti e striscioline e le tuffò nel mixer, le vide fondersi fino a perdere la loro identità, il colore invitante al palato.
Le insaporì con dell'olio, aceto,aglio, sale, pepe e paprika, aggiunse del pane raffermo precedentemente ammollato e strizzato e del ghiaccio tritato... sembrava goloso, fresco e delizioso, una cosa nuova per lei.

venerdì 12 ottobre 2012

SOLO 3 SEMPLICI REGOLE

Le aveva lasciato un biglietto sul tavolo, quel mattino.
Sapeva che sarebbe stata una giornata dolorosa, ma aveva accettato, ne avevano bisogno.
Lui più volte le aveva detto che avrebbe rinunciato, che non voleva lo facesse... lei lo aveva sempre rassicurato: “Penserò a te, tutto il tempo.”
Aprì il biglietto: “Che ti amo lo sai, ma te lo ripeto ancora. Ti prego solo una cosa, se pensi di non potercela fare: rinuncia. Se credi di farcela rispetta solo queste 3 semplici regole...”
Un sms: “Ti ho comprato un vestito, voglio che tu stasera sia perfetta, indossa solo calze e reggicalze. Arrivo tra 10 minuti.”