giovedì 7 marzo 2013

Dicotomia (Parte terza)



Li ai suoi piedi, in attesa, non poteva far altro che guardarla. In attesa di un suo ordine, di un suo cenno, adorante e consumato dalla lussuria. Il frustino in mano era pericolosamente vicino al suo membro eccitato, si aspettava una punizione invece Margot si alzò dal letto, sbattendole davanti al viso il  ventre.  Il profumo del sesso di lei lo fece fremere,  inalò a pieni polmoni e allungò la lingua a lambire la fessura che si intravedeva dall’apertura dei pantaloni.
Margot lo prese per i capelli obbligandola a guardarla e: “Ti ho detto di leccarmi? Non mi sembra. Non te lo sei ancora meritato. Alzati e accendi le candele.”
Riccardo se ne era dimenticato. Primo errore della serata, ne faceva a bizzeffe e si rammaricava di non servirla a dovere, eppure gestiva con attenzione l’altra sua personalità. Scivolava oltre i confini, fondendosi completamente con le idee e i pensieri della sua Dea, finchè non era completamente immerso nella sua rete, intrappolato in una sorta di nodo gordiano che solo lei poteva tagliare. Era stata una scelta facile lasciarsi coinvolgere, ma allo stesso tempo selettiva. Aveva scelto lui di presentarsi a quella maniera, sottomesso; lui aveva compreso  che sotto il velo di presunzione di Margot, sotto gli abiti lussuriosi e pretenziosi, si celava una donna dai sentimenti profondi. Lo amava, a modo suo. E lui ricambiava il suo amore prostrandosi ai suoi piedi; non era uno zerbino qualsiasi, diveniva un amante focoso quando lei lo richiedeva e le attenzioni che Margot gli dedicava erano nutrimento per l’anima, perle che avrebbe portato con sé durante i giorni di noioso lavoro. Non era una semplice soddisfazione fisica, ma uno scambio di sensazioni ed emozioni degne di essere vissute.
Quando tutte le candele furono accese, Margot era pronta con la gabbietta per il pene.
“Stenditi sul letto, dobbiamo ingabbiare le tue voglie, non è ancora giunto il momento del piacere.”
Riccardo obbedì riluttante, non gli piaceva quell’infernale macchinetta. Margot lo sfiorò in tutta la sua lunghezza, accarezzò il glande lievemente umido e non fu facile intrappolarlo. Il dolore che seguì lo si poteva vedere dalle smorfie che si disegnarono sul viso di Riccardo, lentamente si abituò a quella costrizione obbligata, seppellendo le fitte in un angolo della mente. Aveva imparato a controllare il dolore trasformandolo: appena appartato il dolore il piacere che sopraggiungeva lo colmava e addomesticava le sue voglie.
Finita l’opera, Margot prese il collare che teneva su uno dei comodini accanto al letto e rivestì il collo di Riccardo, completò l’opera agganciando un guinzaglio di pelle e catene. Lo tirò per la catena costringendolo ad alzarsi e lui docile la seguì in cucina, camminando al suo fianco e non carponi come avrebbe voluto una semplice mistress, leggermente arretrato rispetto a lei. Sul tavolo della cucina erano pronti una serie di ingredienti per la cena.
“Cucina per me come sai fare, cucciolo.” Gli ordinò Margot, sganciando il guinzaglio.
Lui si mise ai fornelli, lei lo osservava. Ogni tanto si alzava dalla sedia e gli andava vicino. Lo sfiorava leggermente, oppure usava il frustino per alzargli il capo e scambiarsi sguardi, altre volte lo prendeva per i capelli e si lasciava baciare. Riccardo era eccitato, il pene lanciava fitte di dolore, ma sapeva che prima o poi sarebbe finita. Quando fu pronto portò a tavola il cibo e la servì, attese in piedi accanto a lei un qualsiasi ordine.
“Ho bisogno di te qui sotto.” Margot gli fece cenno di andare sotto il tavolo e schiuse le gambe per farsi ammirare.
“Adesso puoi leccare, cucciolo.” 


Nessun commento:

Posta un commento