giovedì 28 febbraio 2013


Buffi gli interruttori dei pensieri, spesso non funzionano e godono di una vita tutta loro. Impertinenti. Pensi di essere chi li comanda, gli interruttori, invece sei solo il loro oscuro schiavo, portatore insano di condensati di parole e idee e confusione e tutto il resto. E tutto il resto sono i sapori pur essendo inodori: piccanti, dolci, salati, sapidi e assapori, ti inganni, ti sazi, ti colmi. Alla fine li vomiti tutti i pensieri, indigesti condensati di una relazione instabile con un click.

lunedì 11 febbraio 2013

Nessun timore

Nessun timore

Non temo la tempesta,
ne apprezzo la vista e il suono.
I lampi mi illuminano,
il tuono fa rotolare il mio cuore,
il ruggito del vento mi scompiglia i capelli,
la pioggia mi disseta.
E' il suono dell'universo,
e di tutta la sua orchestrale gloria.
Il silenzio è inquietante,
il silenzio è assordante,
urla nella mia testa,
il mio cuore si ferma,
il mio respiro rallenta.
Dammi la cacofonia,
porgimi il caos,
regalami l'urlo del cielo.
Almeno so
che tutto vive,
che è tutto come dovrebbe essere,
come è stato concepito per essere.
La realtà non dovrebbe mai rimanere in silenzio.
La vita non deve mai essere messa in dubbio.
E se prima adoravo i silenzi,
oggi voglio il rumore!

venerdì 8 febbraio 2013

Dieci


Dieci, sono arrivata alla vittima numero dieci. Lui aprì gli occhi, lessi un barlume di sfida, lo sguardo ironico e una smorfia in bocca, improvvisamente smorzati quando comprese di essere legato.  Leccai il suo viso imperlato da sottili gocce di sudore,  imprimere sulle labbra il gusto della paura era divenuta una costante.  “Lo specchio è li…” dissi tirandolo per i capelli, obbligato a guardarsi. “Scegli tu, vuoi vedere come si soffre o…” Perse completamente la sua spavalderia, piagnucolò pregandomi di non fargli male. Un ghigno mi attraversò le labbra, lo imbavagliai. Costretto a guardarsi, non lo bendai, infilai lo strap-on nel suo pertugio in un sol colpo e accompagnai i successivi urlandogli: “Nadia…” Accanto a lui la mia firma: “La Fustigatrice di culi pelosi  non perdona.”

L'ultima elucubrazione della sera

Ah, ecco, si, mi ero dimenticata. A un certo punto della vita, ti rendi conto che non te ne frega ‘na mazzabubù il dover giustificare o spiegare cosa fai e cosa non fai. Le idee e i gesti sono miei e nessuno ha il diritto di chiedere spiegazioni. Ognuno di noi, nell’arco di tempo della nostra esistenza, merdosa o buona che sia, fa ciò che credo e quello che più gli aggrada. Non esiste il giusto, come non esiste lo sbagliato, è semplice e naturale. La rabbia e l’impotenza, il rancore e l’odio non fa affatto bene, e il trascorrere gran parte della giornata in questa maniera corrode, ti fa mancare il respiro, pensi che tutti gli altri ti guardano e ti additano come persona sbagliata e da allontanare. Non è vero un cazzo. Questa gente gode nel vederti ombrosa e negativa e allora… fanculo! Non sono ne migliore ne peggiore di tanti altri (ho un tantino l’ego smisurato, questo si, ma oramai son così, sopportatemi, non do fastidio a nessuno, rompo le palle solo a me stessa :D), tento di vivere al meglio delle mie possibilità, non mi creo aspettative, la felicità sta nelle piccole cose (il sorriso di mia figlia è una di quelle) ed è abbastanza. Mi danno noia le persone che cercano l’originalità a tutti costi, l’essere superiori agli altri e lo sottolineano ogni volta rendendoti un moscerino da schiacciare e spremere sui muri. La normalità non è detto che sia sempre accontentarsi o adagiarsi sulla monotonia della giornata (per esempio andare a prendere il pane tutti i giorni, serve pure quello, la bocca e lo stomaco mamma me l’ha fatta), se poi per fare tutto devo prendere l’auto, perché si sa, nel mio paese non c’è un cazzo, giuro che da domani in poi prendo la bicicletta, almeno, tu cretino, hai qualcosa da raccontare di nuovo e penso che per il tuo benessere psicologico potrei anche correre il rischio. Ho un mondo tutto mio, fatto di belle cose e anche di brutte, fatto di noia e anche di gioia, sono autonoma e indipendente, non devo dar conto a nessuno di ciò che faccio e di quello che mi piace e se voglio indossare una maschera, è un mio cazzo di diritto e se voglio invece toglierla è un mio cazzo di diritto lo stesso. Ohhhhh, ritrovo, inaspettata, nel mezzo del cammin della mia vita, la spontaneità. Tante cose ho da raccontarvi ancora, decidete voi, adesso, il vostro ruolo: spettatori silenti, comparse dormienti, attori, primedonne… tutti troveranno il loro posto, un’unica platea, solo posti in prima fila.

La prima volta


Sensazione incandescente e profonda, mi colse alla sprovvista in un primo momento. E quel formicolio lungo la schiena! Erano stati quei piccoli tocchi, sfioramenti della pelle appena accennati, mentre i nodi si chiudevano veloci sulla sua pelle, le mie corde si avvolsero pretenziose, con più vigore di quanto avessi mai pensato di avere. “Fagliela pagare…” Quelle due parole rimbalzarono da una parte all’altra del mio cervello e seppur per gioco, una realtà quella vendetta a comando. Sentivo in me un passeggero oscuro che mi istigava, un demone che si beava di istanti di vita. E lui, li, la mia opera d’arte, strumento e creazione assieme. Impossibilitato a muoversi, mi guardava agghiacciato, in attesa e tremante. In un moto istintivo di coscienza, lo bendai, prima di prendere la frusta in mano e indossare lo strap-on. Un ultimo sussurro al suo orecchio: “Da parte di Tonia…” e la nuova eroina battezzò la sua prima vittima. Accanto a lui la mia firmai: “La Fustigatrice di culi pelosi è in città”.

Sulla spalliera sta....

L'ho detto che ciò l'avvoltoio sulla spalliera? Beccato pure stasera. Vai a riferire della carogna che stai attendendo al varco o aspetti che io sia moribonda e non vedi l'ora di beccarmi viva e fare un lauto pasto con la mia carne, che pure abbonda, eh, rischieresti di morir stracolmo! Giammai, cretino... muori prima tu! Ultimo reduce e testimone dei miei vizi accantonati, una fiammella, si fa presto ad accendere un fuoco. Diverresti un piatto prelibato, un limone al culo e una mela in bocca, appagheresti anche l’occhio. Ah, non sei un maiale, eppur viscido e untuoso ti aggiri indomito.

venerdì 1 febbraio 2013

Masquerade


“Vieni con me…”
Lui allungò la mano e io l’afferrai. Avevo promesso a me stessa una serata diversa, senza pensieri o remore, senza aspettativa alcuna. Volevo solo divertirmi, ero stata troppo a lungo rinchiusa, sola in quella casa dove tutto mi parlava di un passaggio velato e veloce. Lo avevo amato, ma ora era finita. Male, era finita. Perché piangersi ancora addosso, nessuno meritava le mie lacrime.
La mano era forte e sicura, calda e avvolgente. Mentre salivamo le scale, lui svelò il suo desiderio. Lo appresi come una favola perversa, sesso con un perfetto sconosciuto, di cui non vedevo il viso, nascosto da una maschera dall’espressione indecifrabile, a una festa di carnevale. Il mio abito sontuoso, ricco di merletti e lustrini, il seno in bella mostra schiacciato in un corsetto d’altri tempi, in testa una parrucca bionda e un cappello, la maschera copriva il mio volto completamente. I miei più oscuri sogni e passioni trasportati nella realtà, con un uomo che voleva solo il mio corpo. Che importava, ormai! Lo avrei fatto, anche solo per soddisfare il mio corpo, senza implicazioni di mente e cuore, senza anima. Sesso allo stato puro, animalesco se avesse voluto. Finimmo in una stanza buia, illuminata dalla fioca luce dei lampioni sulla strada. Lui cercò di districarmi dall’abito, o almeno dagli strati superiori e io armeggiai con il suo costume. Le maschere ancora sul viso di entrambi, respiravamo la stessa aria, ma nessun tocco di labbra, come volessimo tenerci distaccati e assaporare solo i piaceri del corpo. Tirò le stringhe del mio corsetto, il busto ormai in evidenza, i seni gonfi e i capezzoli eretti. Anche il sottogonna finì presto a terra e le mutandine lacerate dalla sua irruenza, finirono nel mucchietto del costume, una piccola e insignificante macchia bianca tra il ricco carminio del tessuto. “E’ mio, vedi?” Lui aveva afferrato un capezzolo tra le dita, lo stava torturando, mentre l’altra mano affondava tra le cosce, come a saggiare la mia eccitazione. Mi stava guardando al di la della maschera, gli occhi fiammeggianti lussuria ispezionavano la sua preda, rabbrividii come se qualcuno mi avesse passato del ghiaccio lungo la schiena. I suoi occhi ricoprirono ogni parte di me, le sue mani continuarono ad esplorare, allungai le braccia verso di lui, nonostante avessi le gambe malferme, quasi tremolanti, per toccarlo. Un moto di audacia, solitamente assente in me, mi diede lo stimolo ad avvicinarlo più intimamente, sfiorai il suo pene eretto, poi lo afferrai con entrambe le mani, una lungo l’asta, l’altra sullo scroto. I suo gemiti di approvazione mi spinsero oltre, le mani si muovevano veloci, e avrei voluto assaggiarlo con la bocca, ma non volevo togliere la maschera, volevo mantenere il mio anonimato, non volevo essere coinvolta in altra maniera se non quella del sesso e del piacere fisico. Lui continuava a muoversi sul mio corpo, forti e invadenti, le mani, si facevano strada in morse di acciaio, mi consumavano, mi sostenevano, esploravano e alla fine, non avendo più nulla da conoscere, trovò nuovamente la strada della carne calda, gonfia e umida. “Tutta mia, vedi?” disse, stringendo tra le mani le labbra calde, intrufolando il medio tra le pieghe. Impossibile rimanere ferma, e inutile stringere le gambe, lo volevo. Volevo che le sue mani danzassero su di me, volevo esplodere e dissetare la mia pelle bruciata, volevo spegnere quel fuoco divampato dalle sue mani sapienti. Era un amante esperto, conosceva come portare una donna a supplicare di essere posseduta. Lo pregai: “Scopami, per favore. Ne ho bisogno.” E poi… poi mi sono persa, per un attimo tutto divenne sfocato, le mie mani si muovevano su di lui e le sue su di me. Il suo respiro sul mio collo, le sue cosce che sfregavano con le mie, potei sentire la sua presenza ovunque sul corpo, anche dove non poteva arrivare e ben presto mi resi conto che poteva toccare tutto di me, anche solo con un sussurro. Mi stava parlando, e non erano parole dolci, erano parole che scolpivano e colpivano, mi trasformarono in quello che lui voleva che fossi. Mi fece girare di spalle, una mano mi teneva contro di lui e l’altra tra le gambe, oscenamente aperte a rendergli il passaggio più facile. Ancora delle parole, irruenti e pretenziose e presto si mosse dentro di me, furioso. Respiravo a fatica, mi teneva stretta e affondava i suoi colpi dentro di me nel suo ritmo incessante, teso lui, piena io del suo membro, infilzato e palpitante nel fuoco della carne tremula. Ogni spinta un ringhio basso di lui, un mio gemito e mugolio, musica e danza assieme. Sfrenati e consumati dalla lussuria, avvolta attorno a lui, il suo ultimo gemito divenne ululato, trafisse il mio cervello, liberò tutto quello che aveva dentro di me ed io esplosi tremante sulle gambe, scossa da un orgasmo altrettanto liberatorio.
Era finita. Senza parlare ci separammo e ognuno raccolse le sue cose, per ricomporsi e tornare tra la folla ridanciana e carnevalesca. Uscii dalla stanza e nel corridoio scorsi uno specchio, mi fermai a guardare. Pensavo di sapere che cosa volevo, pensavo anche di aver dissetato le mie fantasie perverse con quell’amplesso appena concluso. Ma era questo quello che volevo? Era questa la sicurezza della pace della mente? Non venire coinvolti dalla presenza di un altro, se non con il piacere fisico? Cosa mi aspettavo da un’esperienza fisica e basta? L’avevo presa come una sorta di esperienza catartica, un modo per purificare anima e mente da tutte le sofferenze passate, ma era giusto? Nella testa si affollarono dubbi e domande come non mai, ne avevo un’infinità. Con un moto di stizza sospirai per le mancate risposte, continuando a specchiarmi. E mentre stavo lì, a guardare me stessa, con quella maschera sul volto, sembrava che non mi fossi mai vista così da vicino. Quella creatura che mi guardava, non era la donna che si era lasciata scopare da uno sconosciuto. “Guardati…” sussurrai impercettibile. Ora tutto aveva un senso. Non ero l’ombra della donna appena finita di usare, ero una femmina brillante e intelligente, potevo essere nuda e cruda, potevo essere qualsiasi cosa volessi che fossi. Da quel momento, io avrei scelto la forma e il modo, io avrei scelto chi e dove, io avrei additato la preda e ne avrei tratto beneficio. In fondo bastava una maschera, invisibile o visibile non era importante, importante era essere soddisfatte e consapevoli di quello che si era fatto. E se il sesso era il modo giusto per stare bene, aveva ora le porte aperte e un sorriso sotto la maschera, che in pochi avrebbero visto ma c’era.