Ok, ce l'ho fatta. Ho scelto. Nove
componimenti per salire e sedere accanto agli Dei dell'Olimpo, o
scendere e sprofondare nel profondo e infuocato inferno assieme al
Diavolo e aiutarlo... a fare i coperchi!
Ah ah ah
Fluttuo nel tempo, come una triste creatura dimenticata, sognatrice pietosa, non mi vedi...persa nei mondi oscuri della mente Allie Walker
venerdì 8 marzo 2013
Orgiastici inviti
Ne è valsa la pena, posso urlarlo al vento. Ore scarse di sonno, il lungo viaggio per rientrare, il ronzio del motore ancora nelle orecchie. Gli occhi ora sono appiccicosi, stanchi, non stanno aperti, un po’ confusa. Le cose che ho visto, quelle che ho pensato di aver visto, le cose che sono successe, sono fotogrammi impressi nella pellicola della mia Kodak d’altri tempi che tengo sempre nella borsa. Un mare ondeggiante di corpi, un serraglio di corsetti, pelle, glitter, vernice, calze a rete. Colpa , o merito, di Giovanni, chimico estroso e folle, entrato in biblioteca e aperto una boccetta con un liquido fumante. Mi aveva avvertito con una mail: “Entra in biblioteca “D’Annunzio” alle 19,30 scoprirai vizi privati e pubbliche virtù” Non so quello che si rivelerà nella camera oscura, ma l’orgia, di sicuro, è impressa nelle mie mutandine.
Relazioni pericolose
“Vieni, fottimi.”
Steve non si mosse, sorrise a malapena. Poi si girò su un
fianco e la fissò, un broncio morbido, lievemente triste. Lei allungò una mano
a toccarlo. Il campanello suonò.
“Aspetti qualcuno?”
Lui non rispose, si alzò, infilò maglietta e pantalone, andò
alla porta. Rientrò con un pacco in mano.
Lei tentò di nuovo: “Vieni, fottimi”. Dischiuse le gambe, un
invito. Steve, immobile sullo stipite della porta, espressione indecifrabile. Sembrava fatto.
Un allarme suonò nel parcheggio, lui andò alla finestra. “La
mia auto…”
Prese le chiavi sul mobile ed uscì. Il boato alle sue spalle
non lo sorprese.
giovedì 7 marzo 2013
Dedicato
Dedicato
Che cosa cerchiamo, perché voliamo verso tutto ciò
che è facile e comodo? Ci insegnano le favole da bambini, sono morbide storie,
donano sicurezza in una mente ancora senza malizia, dove le donne non hanno
nulla di carnale e gli uomini sono senza paura e puri di cuore.
I bambini imparano presto, ma è duro scoprire che le
fiabe non esistono nella realtà e per quanto amino scoprire verità, per quanto
siano puri e semplici e per quanto corrano verso abbracci primordiali,
sbatteranno anche contro la paura primordiale; in un mondo dove non esistono
fate, maghi, principi e regine e le uniche magie a cui possono assistere sono
le luci del giorno che cambiano.
Poi si cresce. In un attimo. Ci gettiamo verso l’ignoto,
terrificanti verità, quasi assente la dolcezza, la protezione è pari allo zero
e i mostri sono li che ci aspettano dietro la porta e a ogni svolta.
E nonostante tutto arriva l’amore: ci protegge, ci
illumina, ci governa, ci massacra, ci fa soffrire, ci fa gioire, ci fa fremere
e godere, ci fa vibrare, ci fa bagnare, ci fa lottare e ci fa vincere… e poi?
Poi niente. Hai vissuto!
La luna
La luna sperimenta i suoi tocchi, traccia il buio di un bordo senza fine, sfiora le acque, testa la profondità e sprofonda nel pericolo sconosciuto, è impavida. Cavalca il buio dei mari cupi, in un connubio di luce e di follia, trova la sua ragione di esistere, si flette e riflette. Tocca rami che sembrano chiamarla, circonda la chioma degli alberi, si infiltra, avvolge radici che sembrano morte, rischia il suo abbraccio e li inganna. Noi siamo il resto che tocca con grazia innata ci sfiora una guancia, brilla tra i capelli, trova calore di vita, ama la nostra pelle e ad ogni alba manovra la morte.
Un angelo oscuro
Un angelo oscuro mi chiama
sconosciuto il viaggio
tende la mano
le ginocchia tremano
il cuore sbatte
Un angelo oscuro mi guida
il viaggio inizia
il respiro è breve
il terreno lieve
i passi incerti
Un angelo oscuro mi tiene
creatura della notte
profondo e maestoso
prezioso custode
della mia mente che vola.
Dicotomia (Parte terza)
Li ai suoi piedi, in attesa, non poteva far altro che
guardarla. In attesa di un suo ordine, di un suo cenno, adorante e consumato
dalla lussuria. Il frustino in mano era pericolosamente vicino al suo membro
eccitato, si aspettava una punizione invece Margot si alzò dal letto,
sbattendole davanti al viso il ventre.
Il profumo del sesso di lei lo fece fremere, inalò a pieni polmoni e allungò la lingua a
lambire la fessura che si intravedeva dall’apertura dei pantaloni.
Margot lo prese per i capelli obbligandola a guardarla e: “Ti
ho detto di leccarmi? Non mi sembra. Non te lo sei ancora meritato. Alzati e
accendi le candele.”
Riccardo se ne era dimenticato. Primo errore della serata,
ne faceva a bizzeffe e si rammaricava di non servirla a dovere, eppure gestiva
con attenzione l’altra sua personalità. Scivolava oltre i confini, fondendosi
completamente con le idee e i pensieri della sua Dea, finchè non era
completamente immerso nella sua rete, intrappolato in una sorta di nodo
gordiano che solo lei poteva tagliare. Era stata una scelta facile lasciarsi
coinvolgere, ma allo stesso tempo selettiva. Aveva scelto lui di presentarsi a
quella maniera, sottomesso; lui aveva compreso
che sotto il velo di presunzione di Margot, sotto gli abiti lussuriosi e
pretenziosi, si celava una donna dai sentimenti profondi. Lo amava, a modo suo.
E lui ricambiava il suo amore prostrandosi ai suoi piedi; non era uno zerbino
qualsiasi, diveniva un amante focoso quando lei lo richiedeva e le attenzioni
che Margot gli dedicava erano nutrimento per l’anima, perle che avrebbe portato
con sé durante i giorni di noioso lavoro. Non era una semplice soddisfazione
fisica, ma uno scambio di sensazioni ed emozioni degne di essere vissute.
Quando tutte le candele furono accese, Margot era pronta con
la gabbietta per il pene.
“Stenditi sul letto, dobbiamo ingabbiare le tue voglie, non
è ancora giunto il momento del piacere.”
Riccardo obbedì riluttante, non gli piaceva quell’infernale
macchinetta. Margot lo sfiorò in tutta la sua lunghezza, accarezzò il glande
lievemente umido e non fu facile intrappolarlo. Il dolore che seguì lo si poteva
vedere dalle smorfie che si disegnarono sul viso di Riccardo, lentamente si
abituò a quella costrizione obbligata, seppellendo le fitte in un angolo della
mente. Aveva imparato a controllare il dolore trasformandolo: appena appartato
il dolore il piacere che sopraggiungeva lo colmava e addomesticava le sue
voglie.
Finita l’opera, Margot prese il collare che teneva su uno
dei comodini accanto al letto e rivestì il collo di Riccardo, completò l’opera
agganciando un guinzaglio di pelle e catene. Lo tirò per la catena
costringendolo ad alzarsi e lui docile la seguì in cucina, camminando al suo
fianco e non carponi come avrebbe voluto una semplice mistress, leggermente
arretrato rispetto a lei. Sul tavolo della cucina erano pronti una serie di
ingredienti per la cena.
“Cucina per me come sai fare, cucciolo.” Gli ordinò Margot,
sganciando il guinzaglio.
Lui si mise ai fornelli, lei lo osservava. Ogni tanto si
alzava dalla sedia e gli andava vicino. Lo sfiorava leggermente, oppure usava
il frustino per alzargli il capo e scambiarsi sguardi, altre volte lo prendeva
per i capelli e si lasciava baciare. Riccardo era eccitato, il pene lanciava
fitte di dolore, ma sapeva che prima o poi sarebbe finita. Quando fu pronto
portò a tavola il cibo e la servì, attese in piedi accanto a lei un qualsiasi
ordine.
“Ho bisogno di te qui sotto.” Margot gli fece cenno di
andare sotto il tavolo e schiuse le gambe per farsi ammirare.
“Adesso puoi leccare, cucciolo.”
Iscriviti a:
Post (Atom)