sabato 10 agosto 2013

Un lungo abbraccio




Non vi è nulla di più crudele 
di una poesia non letta, 
traboccante di parole. 
La poesia non può vivere 
solo su un blocco lasciato per casa, 
o su fogli sparsi sul pavimento. 
La poesia deve respirare libera, 
deve pulsare dentro gli occhi di chi legge, 
deve leccare i pensieri assorbendoli rapidi. 
Tento di lavare le mie vene, 
di far scorrere quel sangue rappreso, 
anche se vedo cieli diversi che mi affliggono, 
anche se avvolgo le braccia attorno a me stessa, 
anche con il cuore in pezzi. 
Perché la poesia è l’unica cosa che mi resta, 
quando tutto il resto è andato.

La vita NON è solo un gioco



Sono passata attraverso ogni lettera, graffiando e raschiando ogni pensiero, alla ricerca di un significato. Ho atteso paziente ogni immagine che dipingevi, per trovare quel qualcosa in più. Per trovarti a tinteggiare parole con la lingua, attraversando le mortali membra. Per renderle puro spirito e non solo aggettivi per descrivere la passione che leggi negli occhi di una donna, ammaliata dai tuoi terreni versi. Sono ancora lontane da quel desiderio che si ha per un Amore che non ha confini. Colme di metafore, volute linguistiche prive di calore.

Vapori



Lascio correre i miei pensieri, la mia immaginazione e ci sei tu.
Tu e un bagno.
Una grande vecchia vasca da bagno con i piedi da leone, enormi artigli che la sostengono; piena fino all’orlo con acqua calda.
Il vapore sale in vortici seducenti, così fitti da confondere tutto il resto, le pareti e il soffitto scompaiono e c’è tutto un mondo in quella nebbia.
Ci sei tu. Ti sento, sei parte dell’acqua, sei nel vapore e la tua presenza mi avvolge come le braccia non hanno mai fatto.
So quello che vuoi, quello che sei e sei qui per un solo motivo. Non mi lascerai andare fino a che non ti darò ciò che è tuo.
Mi arrendo.
Mi immergo nell’acqua e sento scivolare via ogni preoccupazione, la mia solitudine, l’ordinarietà della mia vita. L’acqua si chiude sopra la mia testa e mi rilasso, il nostro momento durerà in eterno, rimarrai con me.
Non ce la faccio ancora, è troppo presto, devo risalire, devo respirare e prendere ancora un altro respiro, e un altro ancora e andare avanti.
Con la testa fuori dall’acqua, il vapore si dirada e sei lì, mi stai guardando.
I tuoi occhi grigi offuscati, il viso sembra essere di marmo, inflessibile e freddo, i capelli bagnati. Chiudo gli occhi e appoggio la schiena contro la vasca, il vapore solletica le narici, il mio volto è umido. E’ difficile respirare.
Ti sento sussurrare il mio nome, sembra rassicurante la tua voce, come se stessi calmando la tua bambina.
I seni galleggiano sulla superficie dell’acqua, senza peso, i capezzoli turgidi bramano un tocco. Ti attendo.
E finalmente ti avvicini, posi i tuoi baci sui miei occhi, la lingua lecca le gocce di vapore che ricoprono il viso, sei delicato.
Lento e delicato.
Le labbra sfiorano le mie, i denti affondano sulle labbra.
Le mani impastano i seni, tirano, provo dolore, ma ho bisogno di sentirti, ho bisogno di ricordarti.
Nel momento in cui affondi la lingua nella bocca, aggroviglio le mani ai tuoi capelli, per tirarti vicino, non posso lasciarti andare questa volta.
Allargo le cosce contro i bordi della vasca, offrendomi, in attesa che le tue dita trovino la loro strada dentro di me.
Mi trovi, gemo, sollevo i fianchi, l’acqua trabocca, ma ho bisogno di avere di più.
Mentre mi contorco e inarco il ventre, chiudi la bocca su un capezzolo, lo succhi, lo mordi. Sento dolore, piacere.
Mi tieni in bilico fra il piacere e il dolore.
Si accende il corpo, mi lasci un istante e mi metto in ginocchio, le braccia appoggiate sul bordo della vasca.
Sei dietro di me, fulmineo, il tuo corpo si sta fondendo al mio, le mani si allacciano ai seni.
E’ tutto quello che ho sempre voluto, sentirti così vicino, petto contro schiena, le labbra che mi baciano il collo e le dita che tirano i capezzoli.
Eppure non è sufficiente, il mio bisogno è infinito.
Mi strofino conto di te, so che mi darai sollievo, so che puoi farlo. Il cazzo contro la figa, lentamente scivoli dentro di me a completarmi.
Poi, senza preavviso, spingi duro, martellante.
Il mio nucleo è rovente, ti voglio, godimi!
Stringo il bordo della vasca, mentre gli schizzi vanno ovunque, seguono implacabili i nostri movimenti.
Grido.
Ondate di piacere mi trapassano, fremo, tremo, godo, mentre tu ti dissolvi con gli ultimi resti di vapore.
E’ troppo presto.
Piango con gli occhi chiusi.
Mi immergo.
Tutta.
Ho freddo, ma lì rimango, mentre il sangue si confonde con l'acqua e brividi trapassano il corpo, un'ultima immagine: ancora tu e perdo anche il mio ultimo respiro.

Sfrontata


Labbra carnose lo sfiorano
La lingua si diletta
Cresce sotto la mia attenzione
Le mani legate dietro la schiena
Gli occhi incollati ai suoi
Mi scopa anche la mente
Sorrido alla sua compostezza
Ma quel ghigno appena accennato
Dice altro, lo divoro
Centimetro per centimetro
Giù, fino in fondo
Nel mio calore
Oltre ogni inibizione
La tua deliziosa
Puttana.

Demoni, oltre la notte



"Sei stata creata per essere la donna perfetta per un uomo. Non puoi essere lo spreco dei capricci di ogni uomo, molti sono solo impostori. Alla fine sarai solo una dolce e docile preda per loro.”

Le sue parole riecheggiavano nei sogni della donna, come sempre. E ogni volta aveva avuto ragione. Come faceva a sapere?

Lui non era reale. Era solo uno spirito, un demone che le appariva nei sogni, nel sonno. Guardava profondamente in lei, succhiava dalla sua anima la vita, solo per scomparire dolcemente nelle ore di veglia. Non scomparivano, assieme a lui, le sue parole. Erano sempre con lei, le martellavano le tempie.


Una notte, le parlò del suo cuore. Le disse che amava troppo, profondamente, troppo spesso e troppo per quel mondo terreno. Lui la tormentava… poteva vestirsi come le piaceva, mettersi ogni volta una maschera: sottomessa, frivola, un’amante perversa, una femmina affascinante; non sarebbe cambiato il motivo per cui lo faceva. Erano tutti meccanismi per raccogliere l’amore che desiderava, come fosse stato ossigeno che la teneva in vita.
"La ragione per cui desideri così tanto amore da tutti quelli che incontri, è perché nessun amore ti è mai stato vicino a sufficienza. Non disperare. Quello che ti serve è solo attendere. Devi superare la superficialità per trovare l’Amore.”

Si svegliò e cercò di sollevare le braccia, le sembrava fosse lì, con tutto il suo peso, ma non trovò nulla di aggrapparsi.

Si sentiva cruda e fragile al mattino mentre si vestiva, rendendosi conto che quel demonio aveva riconosciuto la paura che indossava come una seconda pelle. Aveva cercato di mascherarlo in sorrisi e baci, di giorno. Cercò di scacciarlo con la luce. Eppure, al buio, tornò sempre.

E lui lo sapeva. Sapeva che di notte, lo avrebbe chiamato, desiderava averlo vicino. Il demone vedeva le lacrime silenziose che liberava quando era al buio e il cuscino che afferrava tra le braccia ogni notte prima di addormentarsi in quella solitudine terribile che lei proteggeva così ferocemente. Lei ascoltava il ritmo del proprio respiro, del cuore ed era la sola melodia che le teneva compagnia, ma era così assordante. Nel sonno si lasciava avvolgere da quelle braccia e ascoltava il sussurro di quelle risposte che di giorno non riusciva a comprendere. E continuava ad amare persone sbagliate.


Un brivido, l'ultimo


Dopo notti insonni passate a parlare, dopo giorni passati a pensare a questo momento, finalmente ci siamo incontrati. Si agitava sulla sedia, prendeva coraggio con del liquido ambrato e giocava nervosamente con i capelli. Mi avvicinai a lei, chiuse gli occhi, mentre il respiro le si fermò in gola per un istante. La osservai: tacchi vertiginosi, il vestito nero che poco lasciava immaginare, le labbra imbronciate sotto il rossetto; un rosso intenso, brillante, impudico. Passai le dita fra i suoi capelli, infilando una ciocca dietro il suo orecchio. Brividi le affiorarono alla pelle, la sentii malleabile sotto il mio tocco, desiderosa di diventare il mio capolavoro. Lasciammo il bar. In macchina si toccò giocosa, obbediente a un mio ordine, a smorzare le sue paure. Appena in casa, la spinsi faccia al muro. Sul suo corpo ancora un brivido, l’ultimo, mentre la lama le sfiorò la schiena, tagliando il vestito. E poi affondare in un colpo solo.

Schiava di chi? Di cosa?



Un ringhio e le sue dita abili. La corda arrotolata attorno alle caviglie, abbrancata al tavolo. Il suo odore sempre più intenso. Ogni nodo sempre più stretto. Attendevo, piegata, le mani intrecciate dietro la schiena e fra le cosce un diffuso e prepotente calore. Speravo fosse tenero, ma forse no, non ci credevo nemmeno io. Mi sfiorò il pensiero che la tenerezza potesse colmarmi, completarmi. E invece no!

La carne calda tra le cosce tradiva prepotente e sfacciata i miei pensieri. Ultimamente non erano molto in sintonia. La mente voleva tenerezza, carezze, scopate morbide, mentre la fica pretendeva durezza, dolore, affondi voraci. Un brivido percorse il mio corpo, anticipando ancora la mente. Sentivo di non poter resistere ancora, quando le sue mani accarezzarono le labbra bagnate. Lo sentii appoggiarsi contro di me, la sua durezza inconfondibile.

“Mi vuoi? Parla.”

Ogni parola scandita senza dolcezza. Si allontanò da me. Un brivido e il suono della cinghia che fendeva l’aria prima di colpire. Un gemito mi sfuggì dalle labbra appena il cuoio colpì la pelle, facendo vacillare quel poco di compostezza che ancora mi era rimasta. Ero sul punto di godere, il dolore mi provocava sempre un grande piacere e portava a galla i miei istinti. E lui? Lui vedeva sicuramente le mie cosce brillare, il flusso di depravazione che scorreva fiero, il peccato che lambiva la mia anima, la lussuria che pasteggiava con la mia carne.

Quello che non sapeva era che mi stavo solo scaldando. Dopo una decina di colpi si assentò e tornò con una canna. Sul mio viso sentii strisciare la smorfia di un sorriso, non era nuova per me, adoravo il sibilo e la carne che si gonfiava sotto i colpi. Le grida che seguirono erano solo incitamento per lui e io lo sapevo. Graffiavo il suo sadismo. Mi agitavo, facendogli credere che il dolore fosse troppo per me.
“Ne vuoi ancora? Sei la mia Puttana?”

Girai il capo a guardarlo, annuendo. Chiedeva conferme, forse era un altro insicuro? Dai modi non sembrava, dalla voce nemmeno, ma c’era ancora qualcosa che non afferravo del tutto.

Mi sculacciò, gridai ancora riempiendo l’aria della stanza e la mia mente. Mi accarezzò, lieve. Lasciò correre le mani lungo la schiena, fino ai capelli. Aggrovigliò le dita attorno a essi, tirandomi con forza verso di lui e l’altra mano si strinse, come tentacoli di una piovra, attorno al collo. Mi mancò il respiro, sentii il volto avvampare, boccheggiai contro le sue labbra che schiudevano le mie.
Il sangue pompava veloce nelle vene, fremiti percorrevano la pelle, il pulsare della fica si faceva sempre più veloce e pretenzioso.

Allentò la stretta attorno al collo. Appoggiò lievi carezze, sostituì la bocca con un paio di dita, scopandomi la gola. Lo succhiai, avidamente, mettendo ancora più enfasi del dovuto, con gli occhi incollati ai suoi, una richiesta tacita a farmi godere.
La carne cedeva al desiderio, la cavità pulsante chiedeva di essere riempita, mi agitai sul tavolo e vomitai fuori la mia voglia: “Per favore, scopami.” E poi un torrente di parole incomprensibili, suppliche, lamenti caricati di istinto primordiale, di quella lussuria che chiede di essere saziata, di quella fame che deve essere leccata, assorbita. Succhi copiosi scendevano sulle cosce, sentivo i rivoli sulla pelle.

Si allontanò dal mio fianco e lo sentii posizionarsi dietro di me, il cazzo appoggiato appena sulla mia apertura indecente. Le mani sui fianchi, si “piegò” alla mia richiesta, al mio bacino che si muoveva verso di lui.
Un ghigno sul mio volto, mentre lui mi possedeva.

Avevo vinto di nuovo, nessuno sapeva resistere alla carne tremula e calda.
Il mio piacere non era strettamente carnale, in quel momento, ma era il piacere di una vittoria che si stagliava nella mia mente: lo avevo sopraffatto, credeva di essere il padrone del mio corpo e di tutto il resto. Le corde che riuscivo a toccare con il mio fare lamentoso e piagnucolante, con le mie suppliche, gonfiavano il suo ego.

In fondo la verità era una, eravamo entrambi schiavi: io schiava della mia mente corrotta e perversa, lui schiavo del piacere carnale.