sabato 10 agosto 2013

Demoni, oltre la notte



"Sei stata creata per essere la donna perfetta per un uomo. Non puoi essere lo spreco dei capricci di ogni uomo, molti sono solo impostori. Alla fine sarai solo una dolce e docile preda per loro.”

Le sue parole riecheggiavano nei sogni della donna, come sempre. E ogni volta aveva avuto ragione. Come faceva a sapere?

Lui non era reale. Era solo uno spirito, un demone che le appariva nei sogni, nel sonno. Guardava profondamente in lei, succhiava dalla sua anima la vita, solo per scomparire dolcemente nelle ore di veglia. Non scomparivano, assieme a lui, le sue parole. Erano sempre con lei, le martellavano le tempie.


Una notte, le parlò del suo cuore. Le disse che amava troppo, profondamente, troppo spesso e troppo per quel mondo terreno. Lui la tormentava… poteva vestirsi come le piaceva, mettersi ogni volta una maschera: sottomessa, frivola, un’amante perversa, una femmina affascinante; non sarebbe cambiato il motivo per cui lo faceva. Erano tutti meccanismi per raccogliere l’amore che desiderava, come fosse stato ossigeno che la teneva in vita.
"La ragione per cui desideri così tanto amore da tutti quelli che incontri, è perché nessun amore ti è mai stato vicino a sufficienza. Non disperare. Quello che ti serve è solo attendere. Devi superare la superficialità per trovare l’Amore.”

Si svegliò e cercò di sollevare le braccia, le sembrava fosse lì, con tutto il suo peso, ma non trovò nulla di aggrapparsi.

Si sentiva cruda e fragile al mattino mentre si vestiva, rendendosi conto che quel demonio aveva riconosciuto la paura che indossava come una seconda pelle. Aveva cercato di mascherarlo in sorrisi e baci, di giorno. Cercò di scacciarlo con la luce. Eppure, al buio, tornò sempre.

E lui lo sapeva. Sapeva che di notte, lo avrebbe chiamato, desiderava averlo vicino. Il demone vedeva le lacrime silenziose che liberava quando era al buio e il cuscino che afferrava tra le braccia ogni notte prima di addormentarsi in quella solitudine terribile che lei proteggeva così ferocemente. Lei ascoltava il ritmo del proprio respiro, del cuore ed era la sola melodia che le teneva compagnia, ma era così assordante. Nel sonno si lasciava avvolgere da quelle braccia e ascoltava il sussurro di quelle risposte che di giorno non riusciva a comprendere. E continuava ad amare persone sbagliate.


Un brivido, l'ultimo


Dopo notti insonni passate a parlare, dopo giorni passati a pensare a questo momento, finalmente ci siamo incontrati. Si agitava sulla sedia, prendeva coraggio con del liquido ambrato e giocava nervosamente con i capelli. Mi avvicinai a lei, chiuse gli occhi, mentre il respiro le si fermò in gola per un istante. La osservai: tacchi vertiginosi, il vestito nero che poco lasciava immaginare, le labbra imbronciate sotto il rossetto; un rosso intenso, brillante, impudico. Passai le dita fra i suoi capelli, infilando una ciocca dietro il suo orecchio. Brividi le affiorarono alla pelle, la sentii malleabile sotto il mio tocco, desiderosa di diventare il mio capolavoro. Lasciammo il bar. In macchina si toccò giocosa, obbediente a un mio ordine, a smorzare le sue paure. Appena in casa, la spinsi faccia al muro. Sul suo corpo ancora un brivido, l’ultimo, mentre la lama le sfiorò la schiena, tagliando il vestito. E poi affondare in un colpo solo.

Schiava di chi? Di cosa?



Un ringhio e le sue dita abili. La corda arrotolata attorno alle caviglie, abbrancata al tavolo. Il suo odore sempre più intenso. Ogni nodo sempre più stretto. Attendevo, piegata, le mani intrecciate dietro la schiena e fra le cosce un diffuso e prepotente calore. Speravo fosse tenero, ma forse no, non ci credevo nemmeno io. Mi sfiorò il pensiero che la tenerezza potesse colmarmi, completarmi. E invece no!

La carne calda tra le cosce tradiva prepotente e sfacciata i miei pensieri. Ultimamente non erano molto in sintonia. La mente voleva tenerezza, carezze, scopate morbide, mentre la fica pretendeva durezza, dolore, affondi voraci. Un brivido percorse il mio corpo, anticipando ancora la mente. Sentivo di non poter resistere ancora, quando le sue mani accarezzarono le labbra bagnate. Lo sentii appoggiarsi contro di me, la sua durezza inconfondibile.

“Mi vuoi? Parla.”

Ogni parola scandita senza dolcezza. Si allontanò da me. Un brivido e il suono della cinghia che fendeva l’aria prima di colpire. Un gemito mi sfuggì dalle labbra appena il cuoio colpì la pelle, facendo vacillare quel poco di compostezza che ancora mi era rimasta. Ero sul punto di godere, il dolore mi provocava sempre un grande piacere e portava a galla i miei istinti. E lui? Lui vedeva sicuramente le mie cosce brillare, il flusso di depravazione che scorreva fiero, il peccato che lambiva la mia anima, la lussuria che pasteggiava con la mia carne.

Quello che non sapeva era che mi stavo solo scaldando. Dopo una decina di colpi si assentò e tornò con una canna. Sul mio viso sentii strisciare la smorfia di un sorriso, non era nuova per me, adoravo il sibilo e la carne che si gonfiava sotto i colpi. Le grida che seguirono erano solo incitamento per lui e io lo sapevo. Graffiavo il suo sadismo. Mi agitavo, facendogli credere che il dolore fosse troppo per me.
“Ne vuoi ancora? Sei la mia Puttana?”

Girai il capo a guardarlo, annuendo. Chiedeva conferme, forse era un altro insicuro? Dai modi non sembrava, dalla voce nemmeno, ma c’era ancora qualcosa che non afferravo del tutto.

Mi sculacciò, gridai ancora riempiendo l’aria della stanza e la mia mente. Mi accarezzò, lieve. Lasciò correre le mani lungo la schiena, fino ai capelli. Aggrovigliò le dita attorno a essi, tirandomi con forza verso di lui e l’altra mano si strinse, come tentacoli di una piovra, attorno al collo. Mi mancò il respiro, sentii il volto avvampare, boccheggiai contro le sue labbra che schiudevano le mie.
Il sangue pompava veloce nelle vene, fremiti percorrevano la pelle, il pulsare della fica si faceva sempre più veloce e pretenzioso.

Allentò la stretta attorno al collo. Appoggiò lievi carezze, sostituì la bocca con un paio di dita, scopandomi la gola. Lo succhiai, avidamente, mettendo ancora più enfasi del dovuto, con gli occhi incollati ai suoi, una richiesta tacita a farmi godere.
La carne cedeva al desiderio, la cavità pulsante chiedeva di essere riempita, mi agitai sul tavolo e vomitai fuori la mia voglia: “Per favore, scopami.” E poi un torrente di parole incomprensibili, suppliche, lamenti caricati di istinto primordiale, di quella lussuria che chiede di essere saziata, di quella fame che deve essere leccata, assorbita. Succhi copiosi scendevano sulle cosce, sentivo i rivoli sulla pelle.

Si allontanò dal mio fianco e lo sentii posizionarsi dietro di me, il cazzo appoggiato appena sulla mia apertura indecente. Le mani sui fianchi, si “piegò” alla mia richiesta, al mio bacino che si muoveva verso di lui.
Un ghigno sul mio volto, mentre lui mi possedeva.

Avevo vinto di nuovo, nessuno sapeva resistere alla carne tremula e calda.
Il mio piacere non era strettamente carnale, in quel momento, ma era il piacere di una vittoria che si stagliava nella mia mente: lo avevo sopraffatto, credeva di essere il padrone del mio corpo e di tutto il resto. Le corde che riuscivo a toccare con il mio fare lamentoso e piagnucolante, con le mie suppliche, gonfiavano il suo ego.

In fondo la verità era una, eravamo entrambi schiavi: io schiava della mia mente corrotta e perversa, lui schiavo del piacere carnale.

............



Un passo alla volta, sto imparando ad accettare ieri, perché non posso cambiarlo. Ma oggi non vedo l'ora che sia domani e prendere le misure necessarie per evitare tutti i miei ieri terribili.

Ho corso per così tanto tempo che non so più se sto inseguendo qualcuno o se sto fuggendo.


Una lotta eterna


Lei era un caleidoscopio di brillanti colori, dove si aggrovigliavano i raggi del sole. Gli occhi azzurri e profondi dalle pagliuzze verdi, i rossi capelli erano feroci conquiste che svolazzavano liberi, il roseo incarnato sembrava porcellana finissima. Ogni movimento flessuoso del corpo esprimeva la gioia di vivere. Ma il suo uomo la teneva così stretta, ingarbugliata nelle sue mani, tanto che non riusciva più a respirare. Le sue forme persero la morbidezza e la brillantezza divenne un eterna lotta tra il nero e il grigio.

Assetata



Stai occupando lo spazio tra i miei sensi, prepotente scavi dentro i miei pensieri. Trattengo il fiato, senza intorpidire le emozioni. Attendo i tuoi occhi, il tuo sguardo di fuoco che domina le mie viscere, le tue mani che sprofondano entro le sensazioni del mio corpo, la tua carne fulgida che si impossessa di quello che sa essere già suo. Schiava del tuo potere, mi piego docile sulle ginocchia. La tua frusta non spegne il mio amore, ma lo fa crescere ogni giorno più forte. E se lacrime mi vestiranno, saranno acqua per la mia pelle assetata della tua presenza.